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I Titoli attribuiti a Gesù - Sacerdote
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I Titoli attribuiti a Gesù
Signore
Profeta
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Sacerdote
Servo
Messia
Figlio dell'uomo
Figlio di Dio
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Gesù è chiamato:

Il Sacerdote

 

Nel popolo di Dio l’istituto del sacerdozio è cambiato più volte lungo il corso del tempo. La realtà sacerdotale come status non esisteva nell’epoca dei patriarchi. Questi nel loro pellegrinare alla ricerca di pascoli ed acque per le loro greggi, compivano talvolta atti liturgici erigendo altari con le pietre. Questi rudimentali altari indicavano il luogo dove avevano avuto un particolare incontro con Dio, dove Dio aveva manifestato se stesso. Essi esercitavano una sorta di “sacerdozio familiare”. Nell’Antico testamento c’è un solo personaggio,  dalle origine misteriose, che viene collegato al sacerdozio di Gesù ed è Melchisedech (Gn 14,18), antico re di Salem, l’antica Gerusalemme.  A questo re anche Abramo offre la “decima”, dunque vi si sottomette. Questo re dalle origini sconosciute viene col tempo a identificarsi con quel personaggio altrettanto misterioso che alla fine dei tempi, quelli messianici, avrebbe portato a compimento il sacerdozio giudaico.

I patriarchi erano nomadi, ma dopo la sedentarizzazione dell’antico popolo d’Israele, comincia ad apparire la funzione sacerdotale. Dal periodo di Mosé in poi  tale funzione viene assegnata ad una delle tribù d’Israele, quella di Levi. Questa tribù era addetta al culto di Jahvé, ma già la predicazione profetica ne metteva  in evidenza l’insufficienza. Con il consolidamento del Regno d’Israele (David ) e la costruzione del Tempio ( ad opera di Salomone),  la funzione sacerdotale si affianca al tempio e al sacrificio; nasce così un culto, e una ritualità. Tuttavia si attendeva un re, che fosse anche Sacerdote, di dignità eccezionale, che “alla fine dei tempi avrebbe “compiuto” il sacerdozio giudaico”.

In Gesù noi troviamo l’affermazione che tutto il regime cultuale dell’A.T. è ormai finito. Gesù è addirittura più grande del Tempio (Mt 12,6). Non fa parte della Tribù di Levi, e tutto il suo operato non ha i caratteri del ministero sacerdotale” (Eb 7,13; 8,4) antico, “anzi è in esplicita polemica con una concezione rituale della religione, e questo in profonda continuità con la predicazione profetica”

La morte in croce di Gesù richiama, invece, il discorso del rito come sacrificio, presente sin dalle origini dei popoli. Nell’A.T.  “il sacerdote oltre alla sua funzione rituale, era anche, annunciatore delle parole e proclamatore della legge; Gesù ha chiaramente rivendicato per se queste prerogative (Mt 5).”

Sarà però la lettera agli ebrei a specificare il rapporto di Gesù come Sommo Sacerdote: (Eb 7,27) Gesù è l’autentico Sommo Sacerdote che compie il sacerdozio antico, non offrendo sacrifici esteriori, ma se stesso ed è questo che rende superato tutto l’ordinamento cultuale precedente.

La nuova Alleanza si instaura con il Sangue di Gesù, sparso “per molti”. Si apre così per la Comunità di Gesù (La Chiesa) l’accesso al santuario celeste e alla comunione definitiva con Dio (Eb 8,10).

“Si comprende allora in che senso si potrà parlare della comunità cristiana come popolo sacerdotale (1 Pt 2,5): il punto di riferimento non è più il sacerdozio levitico, ma quello di Cristo. Il culto infatti che questo popolo offre non è più quello antico testamentario, ma quello nuovo “mediante Cristo”, implicante una vita di fede, di impegno, soprattutto una vita di carità (Eb 13, 15; Rm 12,1; Fil 2,17): in una parola, una vita spesa per gli altri, come quella di Cristo”

La lettera agli Ebrei specifica anche perché è superiore il sacerdozio di Gesù: i sacerdoti precedenti non avevano realizzato che cose imperfette e insufficienti, il Cristo, ha fatto una volta per tutte ciò che bisognava fare: satis fecit, ha fatto abbastanza. Al sacerdozio cultuale offerto dagli uomini ha sostituito il sacrificio perfetto del dono totale di se.

Su questo tema , a completamento del concetto si legga nei documenti del  Concilio Vaticano II, il documento: Presbyterorum Ordinis, in particolare il n. 2.

" 2. Nostro Signore Gesù, « che il Padre santificò e inviò nel mondo » (Gv 10,36), ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto (2): in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo, e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati dalle tenebre nella sua luce meravigliosa (3). Non vi è dunque nessun membro che non abbia parte nella missione di tutto il corpo, ma ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore (4) e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia (5).

Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però « non tutte le membra hanno la stessa funzione » (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come ministri, in modo che nel seno della società dei fedeli avessero la sacra potestà dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati (6), e che in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la funzione sacerdotale. Pertanto, dopo aver inviato gli apostoli come egli stesso era stato inviato dal Padre (7), Cristo per mezzo degli stessi apostoli rese partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori (8), cioè i vescovi, la cui funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri (9) questi sono dunque costituiti nell'ordine del presbiterato per essere cooperatori(10) dell'ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo."

 per il testo completo vedi: www.vatican.va_presbyterorum Ordinis

 

 

 

 

 



 
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