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Introduzione (Cesarea di Filippo)
Dopo le due moltiplicazioni dei pani, dopo tanti miracoli, nel suo incessante pellegrinare per le strade della Palestina, Gesù si trova a Cesarea di Filippo, e qui, ai piedi del monte Hermon, chiede ai suoi discepoli : "Voi chi dite che io sia?". Questa domanda Gesù la pone a loro, discepoli della prima ora, ed anche a noi discepoli di un'ora più tarda... Allora i discepoli rimasero disorientati, e per tutti rispose Pietro che si rese permeabile all'ispirazione dello Spirito Santo e potè dire: "Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente".(Mt 16,16)
E noi, oggi, cosa risponderemmo?...
Una parte dello studio della Cristologia, è dedicata alla analisi dei titoli attribuiti a Gesù nel Nuovo Testamento. Qualcuno ha calcolato che al Gesù terreno vengono assegnati oltre 50 titoli diversi. Sono titoli che ci sono divenuti cari, e che usiamo anche noi. Forse sarebbe bello che ciascuno si chiedesse perché è rimasto affezionato a uno di essi più che ad altri; chissà che non emerga ,così, la sostanza , il nucleo profondo, del nostro rapporto con Gesù. Analizzeremo qui i titoli più importanti, più usati e conosciuti. nota: la presente riflessione è fatta sulla base del testo: Mario Serenthà: Gesù Cristo ieri oggi e sempre, saggio di cristologia - ed LDC - TO. 1988- I brani (non biblici) , tra virgolette sono citazioni dal testo
Gesù è chiamato:
Il Signore (Kyrios in greco)
I primi cristiani chiamando Gesù: “Il Signore” affermavano la sua autorità su tutto il creato. Era un termine liturgico, usato nelle celebrazioni comunitarie della “frazione del pane” (Eucaristia). I primi cristiani già credevano , sperimentavano e confessavano la realtà della presenza del Signore nella comunità quando questa è riunita per l’Eucaristia. Il termine Kyrios è usato già nella versione della Bibbia detta dei "settanta" (cioe la prima traduzione in greco delle scritture ebraiche ad Alessandria d'Egitto sotto Tolomeo Filadelfo regno 285-246 a.C.) per tradurre i nomi divini di Adonai e Jahvè.
Il termine Signore rivela di che tipo è il dominio di Gesù . Egli è il crocifisso, Colui la cui signoria si manifesta nella donazione di sé fino alla morte in croce. Gesù regna dalla croce. Egli prima di morire disse: “attirerò tutti a me”! Gesù è il Signore che vince “perdendo” ! Forse San Paolo ci fa capire meglio questo concetto quando dice che la debolezza di Dio è più forte degli uomini: "Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti" - (1 Cor 1, 27),
"quando sono debole è allora che sono forte" - (2 Cor, 12,9-10).
La forza di Gesù era il suo amore per il Padre, e la sua ferma volontà di obbedirgli in tutto. “I suoi discepoli, celebrando il memoriale di questa morte nell'Eucaristia, diventano una comunità sottomessa alla signoria di Cristo, partecipe della sua vittoria: l’amore di Dio che si manifesta in Cristo vince ogni lontananza da Lui, e fa vicini a Lui, figli suoi e fratelli nella carità”.
Gesù è chiamato Il Profeta E’ una figura ben conosciuta dal popolo ebraico dell’AT. Il Profeta non è l’estatico, l’invasato o l’indovino, ma è colui che per vocazione, e magari controvoglia spiega al popolo il significato religioso di ciò che accade” . Ci dice G. Ravasi che: “ Il vero profeta è la coscienza critica del suo tempo. “il profeta dev’essere testimone davanti agli uomini della sua esperienza religiosa, dev’essere bocca e portavoce di Dio, annunciatore delle parole di Dio agli uomini” (Sant’Agostino). Proprio perché trasmette un messaggio vivo di Dio, il profeta è per eccellenza uomo del presente, coinvolto nelle vicende della sua storia….” Il profeta non è colui che predice il futuro ma è colui che, mosso dallo Spirito, sa leggere nella storia la parola di Dio. E questa parola non viene comunicata dal profeta solo mediante la comunicazione verbale ma il profeta annunzia con la testimonianza di tutta la sua vita. Gesù è tutto questo ma anche di più. Egli non annuncia semplicemente la parola di Dio, ma è la Parola definitiva di Dio. E’ il Verbo (Parola) del Padre. E’ la Parola ma non ricevuta per una rivelazione come fu per san Paolo o per i profeti, Gesù afferma che Egli è la Parola fatta carne. Egli annuncia ciò che ha visto e udito quando era presso il Padre, e solo lui è testimone di questo.
“Dio nessuno l’ha mai visto proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" - (Gv 1,18)
"Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico" (Mt, 5,20 e ss.)
Il titolo di profeta deve essere messo in relazione con un'altro titolo attribuito a Gesù quello di logos, perchè entrambi mettono in evidenza l'attività principale di Gesù quella di essere il rivelatore. La predicazione di Gesù non è solo comunicazione di verità, ma interpretazione della storia alla luce dell'alleanza.
Gesù è chiamato: Logos, Dabar, Verbo =Parola Tanti termini per un unico significato. Gesù è la Parola di Dio Incarnata, è il Verbo, la seconda persona della Santissima Trinità che è venuto a Rivelarci il Padre e la vita Trinitaria. Il termine: "Parola", è tradotto in greco con: Logos, in ebraico con: Dabar. Nel Vangelo di Giovanni Colui che era presso Dio ed era la luce del mondo, Gesù, è chiamato Verbo: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste." (Gv 1,1-3)
Il termine logos è molto diffuso nella cultura greca, la cui speculazione filosofica vede il logos come ordine iscritto nelle cose, come principio di intelligibilità di tutte le cose (Logos da légein= raccolta, principio, proporzione, rapporto). Da questo termine greco resta però fuori l'idea che il logos possa essere realtà dinamica che entri nella storia e la trasformi. Quest'ultima idea era invece compresa nel significato ebraico del termine Parola=Dabar, già presente nel 1° libro biblico, la Genesi. La Praola è dinamica, crea il mondo, il quale non viene dal caos e dall'oscurità inintelligibile, ma viene dall'ordine di una Parola, pre-esistente, capace di ordinare. Parola che scaturisce da un Dio che è Pensiero, la cui Parola ne attua le idee, i progetti. Parola che è anche dialogica, perché esprime la volontà del Creatore di entrare in relazione con le sue creature. La parola di Dio ha vari aspetti. E' quella che fa esistere l'intero universo e lo mantiene nell'essere. La Parola di Dio è capace di costruire un popolo e farlo suo alleato. Dio manifesta la sua volontà verso il popolo con i suoi comandamenti: le 10 parole, "che costituiscono l'insostituibile fondamento di tutti i doveri morali della vita e dell'alleanza per Israele". "Al tradimento di Adamo Jahvè risponderà impegnandosi nelle vicende di un popolo, che sarà l'espressione della sua volontà di salvezza nei confronti dell'umanità: la Legge e i Profeti saranno la "parola" che Egli rivolgerà a questo popolo perché resti fedele all'alleanza e possa così giungere alla liberazione , alla Terra promessa. La Legge è la via per la vita: è la parola (sal. 119) che, ascoltata, permette al popolo di mantenere l'Alleanza con Dio e, con questa, avere Jahvè dalla sua parte (Es 23,20). I profeti richiameranno le esigenze dell'Alleanza al popolo che, una volta entrato nella terra promessa, tende, sotto l'influenza dei popoli vicini a dimenticarle comunque, dopo la distruzione del regno d'Israele la loro parola proclamerà la fedeltà di Dio alle sue promesse, nonostante tutto, e indirizzerà la speranza verso l'epoca messianica." Nel Nuovo testamento sono tre i passi in cui Gesù è esplicitamente chiamato Logos: Gv 1,1; 1 Gv 1,1; Ap 19,13. Si deve tener presente che già negli Atti, ciò che la prima comunità cristiana annuncia è sì il Vangelo, in generale, ma in particolare annuncia Gesù di Nazareth, che è la Parola di salvezza. Allo stesso modo sia San Paolo che San Giovanni parlano di Gesù come della Parola. Restando tipica degli scritti giovannei, tale attribuzione. Vediamo infati che nel prologo di Giovanni: 1,1 ss. si afferma che la realtà di Dio e la sua rivelazione la si trova in Gesù, nella carne di Gesù di Nazareth. In lui ha preso forma la Parola stessa di Dio. Questa condizione di "carnalità" di Gesù dice anche come la storia non può essere compresa al di fuori della volontà di Dio e dell'Alleanza con lui. La Parola rivela, dunque, la logica e il senso sia del creato che della storia. Nel Prologo si dice che in Gesù, logos fatto carne, si incontra la vera e definitiva rivelazione di Dio agli uomini, non più nella legge di Mosè . E' Gesù l'Unigenito che manifesta la volontà del Padre e non più le tavole del Sinai. Nella carne di Gesù si realizza la nuova e definitiva Alleanza fra Dio e il suo popolo. "E' Lui la Parola che si deve ascoltare, la Legge che si deve seguire; in Lui si rivela e si autocomunica definitivamente Dio stesso" Ed è per questo che Gesù è il più grande dei profeti, anzi è il Profeta per antonomasia, appunto perchè Egli è la Parola, il Verbo, la rivelazione piena e definitiva di Dio. "Dio non se ne è rimasto nell'alto dei cieli, ma ha condiviso la nostra condizione, la nostra storia: questa è la logica di Dio fin da principio, il definitivo Verbo di Dio agli uomini. Per questo la fede cristiana non comincia da una definizione di Dio, ma dalla conoscenza di Gesù Cristo". E tutta la storia non è comprensibile se non come storia di salvezza, quella salvezza che non è l'ordine cosmico, che non è la legge, ma è l'ordine portato dalla Parola di Cristo. Tale Parola richiede non solo di essere conosciuta, ascoltata, ma soprattutto accolta, e messa in pratica, perchè attraverso l'aggancio ad essa ciascun fedele porti il suo frutto, e tale frutto sia abbondante e rimanga. Questa parola non ci viene più dall'esterno come per la legge di Mosè, ma accolta dalla predicazione apostolica la verifichiamo all'interno del nostro cuore, dove troviamo le radici di essa. La Parola, infatti ci ha creati, e viene iscritta nel cuore dell'uomo: "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi".- (Ez.35,25)
Gesù è la Parola definitiva di Dio Padre: "Nei tempi antichi Dio ha parlato molte volte e in molti modi ai nostri Padri, per mezzo dei profeti; ora invece, in questi ultimi tempi, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1,1-2).
Gesù è chiamato: Il Sacerdote Nel popolo di Dio l’istituto del sacerdozio è cambiato più volte lungo il corso del tempo. La realtà sacerdotale come status non esisteva nell’epoca dei patriarchi. Questi nel loro pellegrinare alla ricerca di pascoli ed acque per le loro greggi, compivano talvolta atti liturgici erigendo altari con le pietre. Questi rudimentali altari indicavano il luogo dove avevano avuto un particolare incontro con Dio, dove Dio aveva manifestato se stesso. Essi esercitavano una sorta di “sacerdozio familiare”. Nell’Antico testamento c’è un solo personaggio, dalle origine misteriose, che viene collegato al sacerdozio di Gesù ed è Melchisedech (Gn 14,18), antico re di Salem, l’antica Gerusalemme. A questo re anche Abramo offre la “decima”, dunque vi si sottomette. Questo re dalle origini sconosciute viene col tempo a identificarsi con quel personaggio altrettanto misterioso che alla fine dei tempi, quelli messianici, avrebbe portato a compimento il sacerdozio giudaico. I patriarchi erano nomadi, ma dopo la sedentarizzazione dell’antico popolo d’Israele, comincia ad apparire la funzione sacerdotale. Dal periodo di Mosé in poi tale funzione viene assegnata ad una delle tribù d’Israele, quella di Levi. Questa tribù era addetta al culto di Jahvé, ma già la predicazione profetica ne metteva in evidenza l’insufficienza. Con il consolidamento del Regno d’Israele (David ) e la costruzione del Tempio ( ad opera di Salomone), la funzione sacerdotale si affianca al tempio e al sacrificio; nasce così un culto, e una ritualità. Tuttavia si attendeva un re, che fosse anche Sacerdote, di dignità eccezionale, che “alla fine dei tempi avrebbe “compiuto” il sacerdozio giudaico”. In Gesù noi troviamo l’affermazione che tutto il regime cultuale dell’A.T. è ormai finito. Gesù è addirittura più grande del Tempio (Mt 12,6). Non fa parte della Tribù di Levi, e tutto il suo operato non ha i caratteri del ministero sacerdotale” (Eb 7,13; 8,4) antico, “anzi è in esplicita polemica con una concezione rituale della religione, e questo in profonda continuità con la predicazione profetica” La morte in croce di Gesù richiama, invece, il discorso del rito come sacrificio, presente sin dalle origini dei popoli. Nell’A.T. “il sacerdote oltre alla sua funzione rituale, era anche, annunciatore delle parole e proclamatore della legge; Gesù ha chiaramente rivendicato per se queste prerogative (Mt 5).” Sarà però la lettera agli ebrei a specificare il rapporto di Gesù come Sommo Sacerdote: (Eb 7,27) Gesù è l’autentico Sommo Sacerdote che compie il sacerdozio antico, non offrendo sacrifici esteriori, ma se stesso ed è questo che rende superato tutto l’ordinamento cultuale precedente. La nuova Alleanza si instaura con il Sangue di Gesù, sparso “per molti”. Si apre così per la Comunità di Gesù (La Chiesa) l’accesso al santuario celeste e alla comunione definitiva con Dio (Eb 8,10). “Si comprende allora in che senso si potrà parlare della comunità cristiana come popolo sacerdotale (1 Pt 2,5): il punto di riferimento non è più il sacerdozio levitico, ma quello di Cristo. Il culto infatti che questo popolo offre non è più quello antico testamentario, ma quello nuovo “mediante Cristo”, implicante una vita di fede, di impegno, soprattutto una vita di carità (Eb 13, 15; Rm 12,1; Fil 2,17): in una parola, una vita spesa per gli altri, come quella di Cristo” La lettera agli Ebrei specifica anche perché è superiore il sacerdozio di Gesù: i sacerdoti precedenti non avevano realizzato che cose imperfette e insufficienti, il Cristo, ha fatto una volta per tutte ciò che bisognava fare: satis fecit, ha fatto abbastanza. Al sacerdozio cultuale offerto dagli uomini ha sostituito il sacrificio perfetto del dono totale di se. Su questo tema , a completamento del concetto si legga nei documenti del Concilio Vaticano II, il documento: Presbyterorum Ordinis, in particolare il n. 2. " 2. Nostro Signore Gesù, « che il Padre santificò e inviò nel mondo » (Gv 10,36), ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto (2): in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo, e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati dalle tenebre nella sua luce meravigliosa (3). Non vi è dunque nessun membro che non abbia parte nella missione di tutto il corpo, ma ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore (4) e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia (5). Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però « non tutte le membra hanno la stessa funzione » (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come ministri, in modo che nel seno della società dei fedeli avessero la sacra potestà dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati (6), e che in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la funzione sacerdotale. Pertanto, dopo aver inviato gli apostoli come egli stesso era stato inviato dal Padre (7), Cristo per mezzo degli stessi apostoli rese partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori (8), cioè i vescovi, la cui funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri (9) questi sono dunque costituiti nell'ordine del presbiterato per essere cooperatori(10) dell'ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo."
per il testo completo vedi: www.vatican.va_presbyterorum Ordinis
Gesù è chiamato: Il Servo Il termine “servo” è di origine antico testamentaria. Servo in ebraico: ebed, è presente nelle scritture dell’AT. soprattutto in Isaia, nei cosiddetti “carmi del servo” (vedi in questo stesso portale, sezione pasqua). Questi testi di Isaia nascono sullo sfondo della domanda riguardante la sofferenza del giusto innocente e perseguitato. Ne cercano il significato. La risposta che presentano afferma la non assurdità della sofferenza per la vita umana. Collocano la sofferenza nel piano salvifico e per il bene di tutto il popolo. Questi testi presentano la figura misteriosa, appunto perché non ne appare chiara l’identità, del servo sofferente che ristabilirà l’Alleanza definitiva con Dio, ed avrà come fondamento la sofferenza del giusto che Isaia chiama appunto: “il servo”, il quale innocente prenderà su di se i peccati di tutti. La sua offerta dovrà considerarsi come sacrificio di espiazione, che Dio accetterà e che giustificherà molti”. Se per le mani di Dio siamo stati creati, per le piaghe di quelle stesse mani, siamo stati guariti e ri-creati ! “Il titolo Servo di Dio applicato a Gesù appare esplicitamente in un solo passo dei Vangeli sinottici, in Matteo 12,18, e in 4 testi degli Atti: 3, 13.26; 4, 27.30.; ma le allusioni ai carmi del Servo sparse nei vangeli sono talmente numerose, da far ritenere che il riferimento sia da attribuire a Gesù stesso” Nelle predizioni della passione fatte da Gesù agli Apostoli le allusioni ai carmi del servo sono chiarissime (cfr. Mc 8,31; 9, 31; 10,33). Nel momento in cui le folle cominciano a non capire più il comportamento di Gesù, Egli si dedica con maggiore intensità alla istruzione dei suoi discepoli. Marco nella sua redazione delle parole di Gesù lega le due principali linee del messianismo dell’AT.quella del Figlio dell’Uomo e quella del Servo, ad un termine proprio del NT, quello di: riscatto, (Mc 10,45, cf. Is 53). “Sembra quindi possibile dire che Gesù, constatando l’opposizione crescente dei capi del popolo, rimandi alla Scrittura per la comprensione del senso della morte cui andrà incontro: essa è iscritta nel destino del Servo, il quale, facendosi solidale con i peccatori, liberamente accetta di morire per cancellare i peccati e ristabilire l’alleanza con Dio e il suo popolo.” I passi degli Atti, pocanzi citati, ci fanno intravedere che questa interpretazione della morte di Gesù alla luce di Is 53 doveva essere comune già nel cristianesimo primitivo e forse nella catechesi della prima comunità cristiana. Certo che, prima di questa interpretazione e della sua conferma con le vicende storiche di Gesù, la sofferenza dell’innocente doveva sembrare più che mai un assurdo. Sin dai tempi dell’Antico testamento la sofferenza dell’innocente è sempre apparsa una realtà difficile da comprendere. Come ad esempio la sofferenza dei profeti. Con le vicende storiche di Gesù-servo, questa sofferenza viene ad assumere valore espiatorio e redentore. Si introducono le idee di solidarietà e sostituzione nell’economia della salvezza. Il servo è colui che assume su di se (e diventa il vero capro espiatorio), i peccati del popolo , offre la sua vita come espiazione e riparazione per molti e la sua morte diventa: punto di glorificazione propria; redenzione degli uomini; fondazione di una nuova alleanza e di una nuova economia. Colegate con la figura del servo ci sono due altre realta: 1) la condizione di umiliazione e 2) la condizione dell’amore, che sta alla base dell’offerta di se. In definitiva non è la sofferenza ad essere salvifica, ma l’amore. Gesù-Servo non è il sostituto degli empi e dei peccatori, ma colui che in piena libertà assume per amore la nostra condizione, per farci uscire da questa condizione divenuta senza via d’uscita, dopo il peccato. E’ questo suo immenso amore che ci ha salvati, che ci ha redenti, che ha espiato per noi.
L’umiliazione del servo, durante gli eventi della passione, è la conseguenza ultima dell’umiliazione del Verbo che ha accettato la discesa nella realtà umana, è la sua kenosi totale, fatta di svuotamento e umiliazione. E’ come dire. Tu Gesù, da Dio che eri, ti sei fatto uomo, per fare diventare divini, noi creature umane.
Gesù è chiamato: Il Messia (Il Cristo) E’ divenuto il titolo più attribuito a Gesù, ed in effetti è il riassunto di tutti gli altri. Esso è in stretto riferimento alla stirpe regale di Gesù. Il titolo vuol dire “Unto”, che in ebraico si dice Messia (Mashiah) e in greco Cristo. Con l’olio (unzione) Israele consacrava i suoi re, e tutto ciò che Dio si era riservato per lui, veniva, appunto, unto. Il termine unto designava chiunque fosse incaricato da Dio di una particolare missione presso il suo popolo e l’incaricato di Dio per antonomasia è il re d’Israele l’unto di Jahvé. Tuttavia a tale titolo nel tempo e soprattutto durante la dominazione romana, si dava una connotazione di liberazione politica dal giogo straniero. Forse anche per questo Gesù non si attribuisce mai questo titolo. E anche nell’accettarlo precisa sempre, soprattutto davanti a Caifa ( Mc 14, 61), Pilato (Mc 15,2) e Pietro (Mc 8,27). Gesù specifica che il suo messianismo è quello del Servo, e non si realizzerà instaurando un regno terreno, ma soffrendo e morendo per la liberazione di tutto il popolo. Il titolo di Messia verrà invece usato nella primissima comunità cristiana nella quale dopo l’esperienza della morte e risurrezione di Gesù ormai era esclusa ogni interpretazione in senso nazionalistico, trionfalistico del termine. Il termine è strettamente collegato a quello di Re, come abbiamo già accennato, ma questa regalità non riguarderà l’ambito temporale, il Regno di Dio resosi presente in Cristo non è di questo mondo, anche se in questo mondo si sviluppa , si incarna, e si rivela. Con questo tipo particolare di Messia che è Gesù non si può più confondere trono e altare, chiesa e stato, vangelo e potere politico. Il Regno è l’unico luogo di salvezza, ma per tutti, e per chiunque voglia entrarci. Ma non sarà instaurato con una riforma o rivoluzione sociale. E la vittoria di questo re, non avverrà con gli eserciti, sembra proprio manifestarci San Paolo, ma con la mansuetudine e l’umiltà, “quando sono debole è allora che sono forte”, Gesù vince con la debolezza della umiliazione della Croce, manifestazione di un grande amore, di una grande passione per il Padre e per la sua creatura umana che non viene abbandonata, ma gli viene data la possibilità del ritorno a Dio per la giusta strada, quella di Gesù crocifisso e risorto, e della fede in Lui.
Gesù è chiamato:
Il Figlio dell’uomo “Mentre il titolo di Cristo, lo ritroviamo sempre in boca agli altri e mai sulle labbra di Gesù, l’appellativo Figlio dell’Uomo nel NT compare sempre e solo sulla bocca di Gesù, con eccezione in Atti 7,56.” Nell’AT. È stato usato da due profeti Ezechele e Daniele. Per Ezechiele tale titolo designa il profeta stesso, un essere umano appunto, debole ed effimero che tuttavia è inviato da Dio ad un popolo dalla dura cervice. In Daniele invece la figura del figlio dell’uomo designa colui che dovrà venire alla fine dei tempi sulle nubi a giudicare la terra. Così all’interno della riflessione giudaica legata al concetto di figlio dell’uomo rimaranno le due immagini di umanità e debolezza da una parte , e dall’altra quella di una figura con caratteristiche celesti. Anche per Gesù tale titolo designa la condizione carnale della sua vita, appunto la debolezza umana, da Lui assunta con l’incarnazione. Per tale motivo il termine si ricollega anche a quello di Servo. “Sembra allora si possa dire che l’appellativo Figlio dell’Uomo rimanda, per la sua straordinaria plasticità, a tutta la vicenda di Cristo, dalla sua umiliazione, alla sua esaltazione, sulla quale insisterà particolarmente il vangelo di Giovanni; forse si spiega così la preferenza accordatagli dal Gesù storico.”
In Gesù il Figlio dell’Uomo atteso è già venuto e presto ritornerà nel compimento finale, quando si opererà il giudizio del mondo, ritornerà non solo in veste di rappresentante escatologico di Dio e del suo regno, ma anche in quanto rappresentante di tutti gli uomini. Questo è possibile perché già la creazione è “In Cristo” e “in vista di Lui”, per cui ogni uomo rimanda a Lui, Figlio dell’Uomo. L’uomo non è presupposto all’Alleanza, ma la sua creazione è già l’inizio dell’Alleanza. Ciò significa che l’uomo non può essere compreso se non come partner di Dio. In Cristo abbiamo la realizzazione suprema dell’Uomo perché abbiamo la suprema unione tra Dio e uomo. E il momento culmine della vita di Cristo è la Pasqua: qui appare veramente chi è Dio: colui che è fedele alle promesse dell’Alleanza, fino a condividere in tutto, eccetto che nel peccato, la condizione dell’uomo, per salvarlo e portarlo alla comunione con sé, e l’essere senza peccato è esattamente la condizione per questo; e appare anche chi è l’uomo: colui che si realizza nella Alleanza con Dio, nell’ascolto della sua parola, che è obbedienza alla sua volontà fino al dono della vita. Allora l’accettazione o il rifiuto della sua Pasqua, cioè del dono della vita, è al tempo stesso la realizzazione o la distruzione dell’uomo. E per questo il giudizio è collegato con il titolo Figlio dell’Uomo perché precisamente tale giudizio avverrà sulla scelta che verrà fatta dagli uomini nei confronti di Gesù, Figlio dell’Uomo. Chi avrà vissuto e amato come Gesù sarà dalla sua parte chi nò sarà nella parte avversa.
Gesù è chiamato: Figlio di Dio Nelle religioni dell'antico oriente i re e le persone dotate di straordinarie qualità venivano designate come figli di Dio. Ma nella letteratura dell'Antico testamento il termine Figlio di Dio ha due significati fondamentali. Esso è riferito a tutto il popolo di Israele e al re che lo rappresenta. Coloro che vengono designati con tale titolo hanno un rapporto di particolare vicinanza con Dio, di assoluta ubbidienza, restando tutti degli incaricati di Dio, dei suoi servitori, avendo ricevuto una specifica missione. Gesù è il Figlio per eccellenza. Egli è particolarmente vicino al Padre. Gesù tuttavia rifiuta gli aspetti trionfalistici del messianismo giudaico. La grandezza e la magnificenza di Gesù si manifestano nella debolezza, nella sofferenza e nella fedeltà alla missione affidatagli da Dio suo Padre. Gesù rifiuta l'idea legata all'attesa del messia come personaggio potente, come anche il Demonio cerca di tentarlo a incamminarsi per tale strada, là nel deserto di Giuda, subito dopo il Battesimo nel Giordano. La figliolanza propria di Gesù si rivela definitivamente ed inequivocabilmente sulla croce. Inoltre Gesù durante la sua predicazione ha sempre tenuto a distinguere i due termini: Padre mio e Padre vostro, non dice mai Padre nostro. Ed insegnando la preghiera del "Padre Nostro", egli rivolgendosi agli apostoli dice loro chiaramente: "VOI dite.....". E' una preghiera messa sulla bocca dei fedeli, perchè abbiano un modo , una forma, per rivolgersi a Dio, e sulla cui base formulare tutte le preghiere che l'uomo vorrà elevare al Padre che nel Figlio Unigenito lo ha adottato nuovamente come figlio dopo il peccato; ma Gesù con il Padre ha un rapporto particolarissimo, personalissimo, diverso dal nostro, un rapporto diretto non mediato. Egli è Dio da Dio, della stessa sostanza del Padre,(formula del Credo). Ed "in lui siamo stati predestinati a essere suoi figli adottivi" (Ef 1,5) Gesù è dunque il Figlio, superiore agli altri figli, e di natura diversa. Solo Egli è in comunione piena con il Padre, e per questo ne è il rivelatore per eccellenza. E' il figlio diletto (Ef 1,6). Gli altri figli per avere accesso di nuovo al Padre, dovranno diventare figli nel Figlio, procurare di portare stampata nell'anima loro l'immagine del Figlio unigenito per mezzo del quale tutto è stato creato e tutto è stato ricreato, "nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" (Ef 1,7 ss) Gesù dunque non è uno dei tanti eletti di Dio, già presenti nell'AT., è il Figlio, il suo rapporto di figliolanza con Dio è unico e irripetibile, pieno: Egli è Dio come il Padre , della stessa natura di Dio, mentre noi siamo creature, la nostra natura è umana, non divina, composti di anima e corpo, creati a immagine di Dio, ed elevati alla vita divina in virtù della redenzione del'Unigenito Figlio naturale di Dio Padre.
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