Gennaio
(Percorri quest’Anno, sulla strada di Gesù)
Gesù è la strada
Qual è la strada per la quale il Signore viene? “Egli annichilì se stesso prendendo la natura di servo...e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7). E’ la strada dell’umiltà, dell’annientamento. Dall’”Ecco” eterno del Verbo detto al Padre suo, fino ad oggi, Cristo viene attraverso l’umiltà. Per incontrarlo, bisogna andare per questa strada. Del resto, non ha detto Gesù: “Chi vuol venire dietro di me... rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno” (Lc 9, 23)? Ecco la strada. Ma Gesù ha detto anche una parola più forte; ha detto che la strada è lui (cfr. Gv 14, 6). Egli si fa strada e diventa la strada di tutti. Che cosa è questa strada se non il mistero di umiltà e di passione del Signore?
Possiamo dire che, per venire nell’umiltà, il Signore ha fatto un cumulo di miracoli a rovescio. Quante cose ha messo insieme per venire nell’umiltà: si è abbassato ad essere uomo e in che modo! E’ riuscito a venire sconosciuto, nascosto, rifiutato, perseguitato. Nell’umiltà ha cercato la Madre sua.
All’”Ecco” eterno del Verbo che accetta dal Padre di essere l’Incarnato, risponde l’”Ecco la serva del Signore” nel tempo, di colei che egli sceglie per sua Madre.
Lui “prendendo natura di servo”, lei “ecco la serva del Signore”; è il servizio nell’umiltà. Dalla culla alla croce il mistero del Signore Gesù è un mistero di umiltà. E’ per questo che Gesù è la via, ed in questo senso è anche la nostra strada.
Febbraio
(Gesù non è l’Uomo degli Altri, ma fondamentalmente Egli è l’Uomo per il Padre)
L’uso del tempo
La nostra vita, breve o lunga che sia, nell’eternità avrà una dimensione intimamente connessa con l’uso che avremo fatto del tempo. Se il nostro tempo sarà stato tutto di Dio, la nostra vita sarà tutta di Dio... Perciò, dovremo avere la grande, la suprema preoccupazione di dare il tempo a Dio, di spenderlo per la sua gloria, come ha fatto Gesù per il Padre suo, essendo quaggiù Verbo Incarnato. Dovremo studiare come Gesù ha speso il suo tempo dal momento della sua incarnazione fino all’ascensione al cielo, cioè tutto il periodo temporale della sua vita. “Io mi devo occupare delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). Egli si è sempre ricondotto a questo principio, e i diritti del Padre e le cose del Padre sono passate su tutto e su tutti, valiccando ogni diritto, anche quelli della Madre. Gesù ha speso il suo tempo per il Padre. Durante i trent’anni della sua vita silenziosa e nascosta poteva essere giudicato come qualcuno che perdeva il suo tempo, perchè non lo dedicava ai successi umani; ma egli glorificava il Padre: “io mi devo occupare di quanto riguarda il Padre mio”.
“Cristo , ieri, oggi e nei secoli” (Eb 13,8). E’ Lui la novità e il tempo assume da Lui il suo significato; è Lui che lo vivifica. Da quando Gesù si è incarnato il tempo è più che mai il sacramento della presenza di Cristo nella vita dell’uomo. Il Signore passando nella nostra vita, ci trovi a sua volta presenti e capaci di accompagnarci con Lui per la strada che, illuminata dalla sua presenza, non ha sera; che illuminata dalla sua luce, non ha tramondo. Passa il tempo, ma non passiamo noi; passa il tempo, ma non passa Dio, anzi il passare del tempo è il ritmo di questo venire di Dio verso di noi e di questo nostro andare verso di Lui, fino a quanto tutto riposerà nell’incontro consumato dell’eternità. Fino a quando non giungerà quell’ora, siamo qui, aspettando il Signore ed il Signore è qui, aspettando noi. Questo reciproco aspettarci dà contenuto alla storia del mondo, alla storia di ogni nazione, alla storia della Chiesa, alla vita di ciascuno di noi.
Una mistica francese del 1800 scriveva, la Preghiera dell’attesa: “Ti attendo, Signore, e aspettandoti attenderò. Aspettarti sarà la consolazione della mia attesa. E sarà eterna gioia di averti aspettato poichè un giorno Tu sarai venuto”- “Come sarà bello il giorno in cui il Signore si mostrerà! Ci ricorderemo allora delle nostre tenebre e delle nostre privazioni? No credo.... Anticipiamo con la fede, la speranza e la forza dell’amore, questo stato futuro, dimenticando la sofferenza dei giorni fuggitivi, col pensiero che ciò che passa è nulla, che Dio solo è tutto...”
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Marzo
Siamo nelle mani del Signore
Le sante mani di Dio! Parliamo sempre del
cuore, del volto di Dio, santa Teresa parlava degli occhi di Dio; ma parliamo
poco delle mani del Signore. La liturgia ci fa pregare molte volte: “Nelle tue
mani, Signore, metto il mio Spirito”, ma ci pensiamo poco. Siamo nelle mani del
Signore, e noi sappiamo a cosa servono le mani: esse sono lo strumento
dell’operare. Dio ci prende con le sue mani e che cosa fa? Quello che gli pare.
Se lo si lascia fare, ci prende gusto, ma se gli si resiste, abbandona. Mani
benedette del Signore, che rappresentano tutta la fedeltà di lui nella nostra
vita, la sua presenza, la sua influenza! Lasciamolo fare sia quando agisce
attraverso i suoi messaggeri, e tutte le cose sono messaggeri suoi, come quando
agisce direttamente senza intermediari. Però ricordiamoci che il lasciarlo fare
nella gioiosa pazienza è precisamente il preludio e la disposizione migliore
per lasciarlo fare con quei modi ineffabili che lui sa....Impariamo a essere
docili. Lasciar fare il Signore nella nostra vita, lasciare che sia lui il
principio di ogni operazione e di ogni gesto...se noi non legassimo le mani al
Signore, chissà cosa farebbe di noi! Da tutta l’eternità ci ha pensati con un
determinato disegno. Un bel giorno ci ha fatti come una materia grezza: è stato
il giorno in cui siamo nati. E poi, da quell’artista che è, ha cominciato a
lavorare su questa materia per realizzare il capolavoro che da tutta l’eternità
egli ha pensato. E tutto quello che è in noi, per cui crediamo alle volte di
essere fatti male, nel disegno di Dio è permesso in funzione di quel capolavoro
che egli sta facendo giorno per giorno. È necessario che siamo nelle sue mani
materia docile, cioè che non abbiamo consigli da dargli, ma soltanto da
ricevere; che non abbiamo gusti da contrapporgli, perchè siamo fatti per lui e
per i suoi gusti. Non c’è nessun peccato che impedisca al Signore di fare un
santo, come non c’è nessuna miseria che impedisca al Signore di glorificarsi in
una santità.
Una mistica francese del 1800 scriveva: “-Il
Signore mi dice: lasciami fare, ma lasciami fare tutto...io non sceglierò, per
esaudirti, nè il giorno, nè l’ora, nè la forma che tu hai previsto e
voluti...coloro dai quali tu attendi, presso i quali tu cerchi, ti lasceranno e
coloro dai quali non attendi nulla verranno a te per un mio ordine... – Dunque:
Fare per Dio è qualcosa, ma lasciar fare Dio, ecco l’importante, il difficile,
il decisivo”
Aprile – Pasqua -
I vizi capitali e la passione di Gesù
Meditiamo per un momento i vizi capitali. Eccoli tutti
lì ad aizzare il cuore degli uomini contro Gesù.
La superbia,
circonda Gesù: tra gli apostoli da pochi giorni serpeggia la delusione per la
lite circa i primi posti nel Regno (cfr. Lc 22,24). Tra i nemici di Gesù c’è
l’opposizione piena d’orgoglio. Gesù non accetta di essere discepolo degli
scribi e dei farisei: è Maestro... e loro si sentono offesi (Mt 23,8). La
superbia delle autorità occupanti: guardano Gesù dall’alto; parlano in nome di
Cesare innanzi al Figlio di Dio e pretendono di avere una risposta. C’è la
superbia idiota del re lussurioso: pensa d’aver diritto a vedere miracoli e si
vendica quando si vede tratato come merita (Lc. 23, 8-11). C’è ancora la
superbia presuntuosa e inconsapevole degli apostoli, i quali, quando Gesù li
previene che nella notte del tradimento si scandalizzeranno per causa sua,
protestano; benchè san Pietro sia il protagonista della famosa espressione:
“Anche se tutti si scandalizzeranno, io non mi scandalizzerò”, l’evangelista
nota che tutti dicevano la stessa cosa (Mt 26, 31-33). In questa presuntuosa
superbia degli apostoli c’è la superbia di tutta l’umanità. Quanta superbia
degli uomini nella passione di Gesù ! Gesù ha appena finito di dare l’esempio
della suprema umiltà lavando i piedi agli apostoli, mettendosi al loro
servizio, chinandosi e prostrandosi
davanti a loro; ma la superbia degli uomini ha la sua ora, l’ora delle tenebre.
C’è l’avarizia.
“Giuda era ladro” (Gv 12,6), il traditore era ladro. E il Vangelo mette bene in
chiaro che l’avarizia ha giocato la sua parte nel travolgere lo spirito e il
cuore di Giuda. Ma non c’è soltanto la sua avarizia.
C’è la lussuria di
Erode e della sua corte che, con questa idiota superficialità di coloro che
sono abbrutiti dal peccato, pensano soltanto allo spettacolo, al gioco. Quanto
egoismo in tutto ciò!
C’è l’invidia. E’
tutta una trama di invidia quella che si raccoglie nell’ora delle tenebre. Gli
scribi e i farisei sono invidiosi di Gesù: sopportano male che le folle lo
seguano e lo acclamino Maestro. Vedono cadere il loro prestigio; sono invidiosi
del bene che le folle vogliono a Gesù; e soprattutto sono invidiosi di quella
sua immacolata integrità, perchè non lo possono veramente mai prendere in fallo
nè nelle parole, nè nelle opere. C’è invidia tra di loro. Caifa è il sommo
sacerdote, ma fa i conti per basso calcolo con l’avido Anna, il quale non
ricopre alcuna carica, ma è potente perchè è pieno di soldi, di mezzi e
d’influenza. Pilato pensa di uscir d’imbarazzo mandando ad Erode il suo rivale,
il suo antagonista; e diventano amici... E’ sempre così!
C’è l’accidia. Gli
apostoli dormono. Sono stanchi, ed hanno il cuore pigro. Come si fa a dormire
mentre il Maestro è solo, agonizzante? Ma ... la notte è fatta per dormire!
Succeda quello che vuol succedere.
Povero san Pietro! Ha freddo e va a scaldarsi ... ma
come la paga cara! Dove lo portano l’accidia, la pigrizia, lo spirito di
comodità!
C’è l’odio e l’ira.
Quanti episodi! Certo il gesto di Pietro che tira fuori la spada non è
un gesto di zelo, bensì un impeto di rabbia. Gli schiaffi che riceve Gesù,
altri impeti di rabbia. Veramente il Signore cade nelle mani dell’ora delle
tenebre, e queste mani sono i vizi di tutti gli uomini di tutti i tempi.
Maggio - Il senso della
creaturalità
L’Umiltà radice del
servizio
“L’umiltà
è la virtù che ci fa persuasi che siamo piccoli, che non siamo niente, ma ciò
non vuol dire che non siamo niente, non vuol dire che ci dobbiamo sentire
piccoli, prescindendo da quello che siamo nella realtà. La nostra condizione è
di povertà. Siamo creature, e come tali non dobbiamo niente a noi stessi, ma
tutto ciò che siamo, che facciamo, che possiamo, non è nostro, bensì è di
Qualcuno che ce lo ha dato”
“Ci
si rende conto che siamo nelle mani di qualcuno che, per il fatto stesso di averci nelle mani, ci consacra. Siamo fatti da Dio e per Dio e il sentirci nati per Dio diventa la sorgente del senso della dignità dell’uomo. Da
Dio, Di Dio, per Dio. Non c’è nessuno che sia più presente, più intimo a
noi di Lui, il quale è più intimo a noi di noi stessi. Perchè noi? Perchè non
arriviamo a scandagliare l’abisso del mistero, siamo nostri fino ad un certo punto e ci conosciamo fino ad un certo punto. E questa non è una
constatazione disperata, ma che ci vivifica, perchè, in fin dei conti, c’è uno
solo che ci Conosce (Dio). Nella nostra vita Dio penetra dal di dentro, dal
profondo, non è uno straniero che arriva, siamo piuttosto noi, con le
nostre piccole dimensioni creaturali, che facciamo fatica a lasciarlo emergere,
a dargli spazio. Dio ha voluto avere in noi una patria, per questo ci ha creato
e noi non siamo creature se non ci impegniamo ad avere per patria lo stesso
Signore.” (A Misura di Dio –LDC)
“Siamo
creature umane, e perciò stesso abbiamo tanti limiti... i limiti della nostra
creazione; siamo stati creati in un determinato modo, dobbiamo trascinare il
peso del nostro essere, dobbiamo sopportare la prigionia del nostro spirito,
dobbiamo accettare la provvisorietà della nostra esistenza, siamo soggetti
all’ignoranza, alla morte, ad un cumulo di passioni; e questi sono tutti dati
oggettivi, non sono ipotesi, sentimenti, sono la realtà, la verità. Ciò che
maggiormente importa nell’umiltà è questo convincimento della nostra realtà,
realtà sottoposta, dipendente, subordinata, limitata, disordinata. E ciò che
conta è accettare questa realtà, non con rammarico, non per forza, ma
accettarla volentieri. L’itinerario logico dell’umiltà è quello di accettare
volentieri, per Dio, la nostra piccolezza, la nostra miseria, di riconoscerla;
e, nello stesso tempo, questo essere soggiogati dall’esperienza della grandezza
del Signore, ci rende più disponibili nelle mani di Dio, basta che il Signore
dica: Va’, e noi andiamo, senza preoccupazioni: l’ha detto il Signore!...
(questa realtà), la nostra umiltà non è un impedimento alla presenza di Dio, ma
è una ragione della presenza di Dio. L’Umiltà è la radice del servizio. Di
solito il servire non ci pesa per la fatica che ci domanda, ma per
l’umiliazione che implica.... non dobbiamo mai essere stanchi di servire il
Signore, mai! E anche quando avremo dato tutto e non avremo più energie, diremo
al Signore: sono stanco di tutto meno che di servirti. Non ti posso più servire
lavorando? Ebbene, ti servirò facendoti praticare la pazienza con me. Anche
quello è un servizio! Dobbiamo pensare che tante volte il nostro modo di
servire il Signore è proprio la nostra impotenza. Le creature non si possono
servire con l’impotenza, ma il Signore si, e talvolta egli dispone che il
nostro servizio verso di lui sia fatto soprattutto d’impèotenza, d’insuccessi,
di pasticci."
Oh,
la preziosità dei nostri pasticci nel servire il Signore! Gli uomini non ce li
perdonano, e così il nostro servizio è al sicuro dalla lode umana, ma il
Signore li perdona e tante volte aspetta più quelli che il resto. Perciò, non
facciamo il proposito di fare dei pasticci, (no di certo), ma facciamo il
proposito di servire il Signore anche con i nostri pasticci, se succedono. Non
è bello questo?
* * *
Lo
sguardo del Signore è su di noi, non sulle nostre opere. Quando egli vuole
un’opera, la compie in un istante con dei mezzi poveri. Ma a Dio occorre
invece la prova del nostro amore, con un lavoro costante, anche se senza
risultato. Ciò di cui Dio non ha mai abbastanza sono delle anime umili e vere,
che si dimenticano per pensare a Lui. I suoi disegni sono su di noi, non sulle
nostre opere. E’ te che vuole!
(Sofia Prouvier – mistica
francese - 1800)
Giugno
Dov’è casa nostra
Nessuno si trova nel mondo come in paradiso, e tutto
questo intrecciarsi di difficoltà, di angustie, di preoccupazioni, di
soprassalti così improvvvisi, è una lezione che il Signore ci dà. Dobbiamo
impararla, perchè non c’è dubbio che la civiltà di oggi, con tutta la sua
superbia e con tutta la sua presunzione, tenta molto l’uomo in questa
direzione, cioè nel fargli credere che adesso, con la civiltà, mettiamo tutto a
posto. Si tende a fare il mondo senza croce, senza patire, senza fame, il mondo
che fa tutto quello che vuole. Di fronte a ciò ecco che il buon cristiano interpreta
le vicende della vita di ogni giorno nella luce della Provvidenza, e apprende
questa prima grande lezione: possiamo farlo bello finchè vogliamo questo mondo,
ma non è casa nostra. “non abbiamo qui una città sicura, ne cerchiamo una
futura”.
Questo sguardo verso l’eternità deve essere più acuto, specialmente in
tempi come i nostri, dobbiamo guardare al paradiso, non per lasciarci prendere
dal pessimismo o dal disfattismo, ma per vedere le cose nella loro vera luce.
Perchè quella è la nostra casa. Siamo di passaggio in questo mondo, stranieri
siamo! Voglia il Signore che lo sentiamo davvero ed ogni giorno di più.
Dobbiamo sentirci così profondamente stranieri in questo mondo da alimentare
sempre la nostra nostalgia del paradiso, il nostro desiderio della vita eterna.
Siamo nel mondo per vivificarlo di questo desiderio e di questa speranza. Ci
sono tanti uomini che si affannano a costruire un illusorio paradiso terrestre;
ma noi dobbiamo essere nel mondo per mantenervi viva la fede, la speranza della
vita eterna. Dobbiamo essere come il fermento che trascina il mondo al di fuori
della sua prigionia e lo porta nella casa del Padre; nel seno del Padre, perché
per questo siamo stati fatti. La storia del mondo non ha altro significato che
questo: è una strada regale attraverso la quale Dio giunge all’uomo e l’uomo
giunge a Dio. Tutto il resto è vanità, illusione, un pugno di polvere, di
vento, che non merita nessuna stretta da parte nostra, tuttavia di tutto ciò ci
dobbiamo servire per desiderare sempre più profondamente il giorno del Signore.
Luglio
Pregare è:
lavorare, in noi, il desiderio di Dio
Il desiderio di Dio e dell’amore di Dio non è da
lasciare sottinteso. Bisogna coltivarlo giorno per giorno con impegno
rinnovato. Noi amiamo il Signore con la nostra volontà; è questa la facoltà del
nostro amore di Dio, dobbiamo dunque impegnarla a volere questo amore di Dio e
a praticarlo con i desideri. I desideri hanno la loro importanza per quel
giudizio e quella volontà di scelta che esprimono. È per questo che il più grande
desiderio che si possa avere è il desiderio del Signore. Perchè? Perchè è la
nostra scelta, è la nostra vita, è un po’ la nostra professione. Il desiderio
di Dio non è soltanto l’oggetto, della virtù teologale della speranza, ma è
anche l’oggetto, l’occupazione di tutta la nostra vita. Il chiedere di vedere
il Signore è il desiderio di lui: la nostra intelligenza lo desidera come
verità, la nostra volontà lo desidera come bene, il nostro cuore lo desidera
come amore. Ma alla base cosa c’è? Una scelta: la scelta di Dio! La mia anima
deve diventare il paradiso di Dio, e non lo diventa se non nella misura in cui
io divento docile, sottomesso, arreso, abbandonato a questo amorosissimo
Signore. E allora tutto si semplifica, tutto diventa lineare. Non si tratta più
di molte cose complicate da capire e da fare, ma si tratta semplicemente di
tenere fissi gli occhi in Dio per scrutarne la luce e la volontà, e abbandonare
a tale luce e a tale volontà tutta la nostra vita. E allora anche il nostro
modo di operare, di agire, poco a poco riuscirà a conciliare le esigenze della
nostra vita terrena con quelli della nostra vita spirituale. È vero che nel
mondo la vita dello spirito non trova facilmente posto; ma è anche vero che
nella misura che noi ci lasciamo prendere dal Signore, impareremo da lui come
conciliare il nostro totale distacco con la fedeltà ai nostri molteplici
doveri; il continuo raccoglimento con l’attenzione alle nostre piccole o grandi
responsabilità; il nostro esclusivo amore per lui e la nostra inesauribile
dedizione a tutti coloro che ci circondano. Questo lo impareremo non sui libri,
attraverso le nozioni, ma attraverso l’intimità col Signore.
Agosto
La preghiera liturgica
La preghiera liturgica, proprio perchè ha origine dal grande sacramento universale che è la Chiesa, ha una connessione con tutti i sacramenti
che conferiscono la grazia, ha una sua validità e una sua funzione anche
prescindendo dalle condizioni personali dell’individuo. Infatti la preghiera
liturgica, come tale, agisce non “ex opere operantis” dell’orante, ma “ex opere
operantis” della Chiesa; quella Chiesa che è santa, viva, feconda, anche se io
personalmente sono un poco di buono. Ed è per questo che la preghiera
liturgica, asceticamente parlando, ha una sua funzione di nutrimento per la
preghiera personale ... nella misura in cui la mia preghiera personale è
profonda, vivifica ed intensifica la mia preghiera liturgica. La preghiera
personale e quella liturgica sono intimamente connesse: non esiste nessuna
preghiera del cristiano così personale che non abbia una risonanza ecclesiale
nel Corpo mistico, e non esiste nessuna preghiera liturgica così impersonale
che non abbia una risonanza nell’individuo.
Settembre
Bellezza della preghiera vocale, ripetuta
Quando un bambino balbetta, sembra che non dica
niente, ma attraverso il suo balbettio la mamma capisce molte cose. Quando
durante la giornata siamo tirati un po’ di qua e un po’ di là, anche noi
possiamo benissimo balbettare qualcosa; per lo meno avremo aperto le nostre
labbra, che dicono tante parole inutili, per dire queste parole che sono sempre
una lode. Se poi al movimento delle lebbra posiamo accompagnare il nostro pensiero, i nostri sentimenti, tanto meglio; ma alle volte può capitare benissimo
che non ce la facciamo. E allora, pazienza! Offriremo alla Madonna questo
rosario detto così... ciò va detto per tutte le preghiere vocali, soprattutto
per quelle a carattere litanico: il Pater noster, le litanie, i rosari che oggi
sono tanto disprezzati. Dicono: che cosa significa dire una sfilza di Ave Maria
e di Pater noster? Che cosa significa? Significa chiamare il buon Dio col suo
nome e invocare Maria la piena di grazia, il che non è poco. E’ vero che la
nostra intelligenza, può essere un po’ stufa di ripetere sempre le stesse
parole, ma questo è tutto amor proprio, è tutta vanità, orgoglio e nient’altro.
Dobbiamo proprio far tesoro delle preghiere vocali; con esse c’è il vantaggio
che quelle parole formulate sempre con le stesse sillabe, ci lasciano maggiore
libertà per il raccoglimento interiore. E poi, è tanto necessario un po’ di
semplicità nella vita spirituale. Quanti attimi vuoti abbiamo nella nostra
giornata, in cui non possiamo far niente altro che dire un Pater o un’Ave
Maria! Se li sapessimo sfruttare tutti, arriveremmo alla fine della giornata
che ne avremmo detti chissà quanti!
Ottobre
(Maria madre e maestra)
Imparare dalla Madonna
Potremmo pensare che Maria diventata madre di Gesù,
avrebbe dovuto perdersi in una specie di estasi ed aspettare gli eventi; invece
il Vangelo ce la mostra come spinta dalla grandezza dei suoi privilegi e del
mistero che porta con sè ad essere tra gli uomini. Eccola che va a far visita
ad una sua parente, anche leid epositaria di misteri che si riallacciano ai
suoi. Com’è bello vedere la
Madonna che va! Secondo noi sarebbe dovuto accadere il
contrario: la Madonna,
la madre di Dio avrebbe dovuto aspettare di essere visitata. Invece è propri
lei a far visita. Il Signore che viene , e di cui Maria è Madre, è il grande
visitatore, è lui che viene a visitare in pace il mondo...dobbiamo imparare
dalla Madonna a credere, non solo sottoponendo la nostra mente alle verità del
Signore, ma soprattutto nutrendo delle verità di Dio tutta la nostra vita, in
modo tale che la luce che ci guida non sia terrena ma soprannaturale. Maria è
stata colmata di ogni grazia, e ci appare nella luce del Vangelo come colei che
riceve la grazia nell’umiltà; questa Madre ci insegna ad essere umili nel
ricevere il dono di Dio, poichè il pericolo di insuperbirsi è un pericolo
sempre attuale. L’esempio della sua umiltà, esercitata nel colmo di ogni
privilegio, è per noi una grande lezione.
Novembre
(vita da santi)
San Giuseppe servo del Signore
Il Signore a san Giuseppe nn ha mai chiesto permessi.
Quando, alla fine della “scappatella” del tempio a Gerusalemme, Gesù si lascia
ritrovare, la Madonna,
che è madre, ha qualcosa da dire al figlio, ma san Giuseppe no. C’è in lui
l’accettazione della signoria di Dio attraverso l’umiltà e il silenzio. Il
silenzio è il liguaggio degli umili. San Giuseppe entra nella vita della
Madonna e in quella di Cristo, Verbo Incarnato, come? Non lo sa, come il
Signore ce lo mette! Ne esce come? Quando? Perché? Non lo sa, quando il Signore
lo porta via! E’ sconvolgente! Si capisce proprio poco come il Signore abbia
fatto le cose in quel modo. Poteva ben aspettare che Gesù fosse qualcuno...
invece ha lasciato lì quella povera mamma, con quel povero figliolo... è tutto
un mistero! San Giuseppe non ha avuto spiegazioni da Dio, ha dovuto soltanto
accettare. Il Signore è entrato nella sua vita con assoluta libertà, senza
preoccupazioni, da Signore, e questo vuol dire che sapeva di poterlof are,
perché trovava in san Giuseppe le disposizioni necesarie. Così ha potuto
signoreggiare nella vita di lui con assoluta libertà, al di là di tutti i
limiti e di ogni convenienza, è cosa sua. Il commento a questa signoria di dio
nella vita di san Giuseppe è il suo silenzio e la sua umiltà. Ciò è tanto più
da ammirarsi quanto più pensiamo che per san Giuseppe questo lasciar fare al
Signore in tal modo non era confortato da fatti visibili. La Madonna ha fatto in tempo
a vedere qualcosa: ha visto almeno dei miracoli, premio della sua fede e del
suo abbandono. San Giuseppe no. Il Signore nel suo venire al mondo, ha
domandato a san Giuseppe di starsene un po’ quieto, di lasciarlo fare e di non
ingombrargli la strada. È meraviglioso vedere come san Giuseppe entra nella
vita di Gesù benedetto e della sua santissima Madre, quando Dio vuole, come Dio
vuole; scompare quando Dio vuole, come Dio vuole; e nella storia della Chiesa
fa la stessa figura. Sono le ore di Dio che contano per lui, non le sue! ! !
San Giuseppe ci insegna la devozione , il servizio al
Signore Gesù e alla sua Mamma Maria. Abbiamo tanto bisogno di tradurre la
nostra devozione ins ervizio, operosità, dove, invece di cercare il nostro
tornaconto, cerchiamo soltanto il compimento dei disegni di Dio e della sua
gloria. E facendo così, diventiamo i collaboratori del Signore, diventiamo
veramente gli strumenti nelle mani di Dio per l’avvento del suo regno.
Dicembre
Adorare la misericorcdia di Dio
Spesso noi abbiamo una
nozione fragile, indebolita, dolciastra della misericordia di Dio, come
se essa fosse una specie di tenerezza più o meno sentimentale. Invece no.
Bisogna mettersi ai piedi di Gesù crocifisso, adorando, per renderci conto che
cosa sia la misericordia di Dio; esa è ben altra cosa da quella facilità a
commuoverci sulle pene altrui. Il dono della misericordia di Dio è gigantesco,
c’è impegnata tutta l’onnipotenza di Dio, tutta la sua ricchezza e soprattutto
tutta la sua eterna e infinita volontà di perdono e di grazia. Volontà di Dio!
Questa volontà che noi tante volte adoriamo tremando è la radice e la sorgente
della misericordia. Ebbene tale volontà misericordiosa travolge il Figlio di
Dio il quale ne diventa la vittima: “Così Dio ha amato il mondo, fino a dare
per esso il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Oh, grandezza della misericordia
del Signore! Gesù, alla misericordia del Padre offre la sostanza della sua
figliolanza divina attraverso l’assunzione della natura umana, e diventa il
sacramento della misericordia del Padre. Viene come marcato dalla misericordia
del Padre e la sua vita stilla la rugiada di un sangue che purifica, redime e
salva. Adoriamo la misericordia di Dio; adoriamola per la sua grandiosità, per
la sua forza per la sua immensità: è opera di Dio, è Dio stesso che irrompe
nella vita di noi povere creature condannate, per ricondurci alla libertà e
alla salvezza di figli suoi.