Conversioni celebri - i Maritain |
La via dell'intelligenza: armonia tra ragione e fede
| | Raissa Oumançoff
poetessa e mistica
Nasce a Rostov il 12 settembre 1883 e vive a Marioupol, in Russia, piccola città sul mar d’Azoff, la sua famiglia proviene da Rostoff sul Don. Tutta la famiglia è ebrea, appartenente alla comunità dei Kassidim, nel 1893 emigrano in Francia e si stabiliscono a Parigi. All’agiatezza Russa, subentrano, per la famiglia, le ristrettezze collegate all’emigrazione in terra straniera con una lingua che nessuno di loro conosceva. Nel 1901, conosce Jacques alla Sorbona. Nel 1904 si sposeranno solo civilmente. Inizia il tempo della loro crisi intellettuale Nel 1905 conoscono il romanziere Léon Bloy e si convertono al cattolicesimo, l’11 giugno 1906, festa di San Barnaba a cui era molto devoto Léon Bloy, ricevono il Battesimo nella Chiesa parrocchiale adiacente la Basilica del Sacro Cuore. Muore a Parigi il 4 novembre 1960. | Jacques Maritain filosofo
Nasce a Parigi il 18 novembre 1882, (pochi mesi prima di Raissa) e muore a Tolosa il 28 aprile 1973. La sua famiglia è protestante. Da parte di madre è nipote di Jules Favre, politico francese di idee repubblicane, che fu anche avvocato, giornalista, e che avversò la politica di Napoleone III. Nel 1961, subito dopo la morte della moglie Jacques Maritain andrà a vivere a Tolosa presso la Comunità religiosa dei Piccoli Fratelli di Gesù, ordine creato nel 1933 sul quale da sempre egli aveva esercitato un’influenza. Nel 1971 egli stesso diventerà un piccolo fratello. |
Notizie sulle loro amicizie e sul loro lavoro Dal 1923 al 1939, vivono a Meudon, nei pressi di Parigi. Sono gli anni delle grandi amicizie . Dal 1939 al 1944, Raïssa è costretta dagli sviluppi bellici e dalle sue origini giudaiche, prima a trasferirsi negli Stati Uniti con Jacques, poi a stabilirvisi. Sono gli anni dell’amicizia con Marc Chagall. Raïssa si occupa di poesia, contemplazione mistica, arte. Al termine della guerra, Jacques è nominato ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Raïssa segue il marito in questa nuova avventura. Nasce l’amicizia con mons. Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI. Nel 1949, i Maritain lasciano il Vaticano, dopo le dimissioni di Jacques dall’incarico, e tornano negli Stati Uniti, a Princeton (NJ). Raïssa è sempre al fianco del marito e si occupa di filosofia e critica dell’arte, poesia, liturgia. Durante una vacanza in Francia, nel settembre 1960 Raïssa è colpita da emorragia cerebrale. Assistita da Jacques, muore il 4 novembre dello stesso anno. Le esequie vengono celebrate a Parigi. La salma è inumata a Kolbsheim, in Alsazia, dove dal 1973 riposano anche le spoglie mortali di Jacques. Il pensiero di Raissa Pur essendosi occupata anche di spiritualità e di estetica, Raïssa è stata soprattutto una poetessa. La sua è una poesia che si può definire “mistica”: l’intimità di Raïssa con il divino è la vera base della sua esperienza poetica, anche quando le sue poesie sembrano non dire nulla di preciso su Dio. La sua poesia esprime le profondità del suo rapporto con Dio, ponendo i suoi versi sulla linea di autori come Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce – che non a caso furono fra i maestri di spiritualità più amati dai Maritain. Certo, questa esperienza è resa singolare dal fatto che Raïssa visse nel mondo e non nella solitudine claustrale. La testimonianza dell’intera sua vita fu infatti quella della presenza amorevole che si fa prossima alle esistenze, alle storie personali, alla storia stessa dell’umanità ferita. I grandi amici
L’attenzione alle persone accompagna l’intera esistenza di Raïssa e di Jacques. La loro casa è un vero e proprio centro culturale frequentato da filosofi (tra gli altri, Étienne Gilson, Yves René Simon, Henri-Irénée Marrou, Nicolaj Berdjaev) e teologi (tra cui Réginald Garrigou-Lagrange, Jacques Froissard, Thomas Merton, Charles Journet, Maurice Zundel), scrittori e poeti (Paul Claudel, Georges Bernanos, François Mauriac, Jean Cocteau, Max Jacob, Pierre Reverdy, Allen Tate, per citarne alcuni), pittori (come Georges Rouault, Marc Chagall, Gino Severini, Tullio Garbari, William Congdon) e musicisti (tra cui Nicolas Nabokoff, Erik Satie, Arthur Lourié). L’opera di Raïssa, come quella di Jacques, è sempre in dialogo con coloro che incontra, con i desideri, le aspirazioni, le gioie e le sofferenze dei suoi interlocutori, esponenti della cultura contemporanea. Il pensiero di Jacques Il pensiero filosofico di Maritain apparve sempre più orientato verso una visione della filosofia, che metta come prioritaria l'evidenza dell'essere prima dei sensi e la metafisica prima della epistemologia. Per quest'ultima lui auspicò un realismo critico, nel senso di una pratica riflessiva, tramite la quale sia lecito difendere la conoscenza alla luce di quella già acquisita, sempre considerando che l'esistenza e la natura di Dio, rilevabili anche attraverso l'esperienza mistica, restino un punto fermo per ogni aspetto della vita. Autore di più di 60 opere, è generalmente considerato come uno dei massimi esponenti del neotomismo nei primi decenni del XX secolo e uno tra i più grandi pensatori cattolici del secolo. Oltre che un precorritore del Concilio Vaicano II. Fu anche il filosofo che più di ogni altro avvicinò gli intellettuali cattolici alla democrazia allontandandoli da posizioni più tradizionaliste. Papa Paolo VI lo considerò il proprio ispiratore. A conferma di ciò alla chiusura del Concilio Vaticano II fu a Maritain, quale rappresentante degli intellettuali, che Paolo VI consegnò simbolicamente il proprio messaggio agli uomini di scienza e del pensiero. Uno dei sacerdoti che frequentava la casa Maritain e vi celebrava la Santa Messa era svizzero, come Journet : Maurice Zundel, il quale , in seguito, fu chiamato dal Papa Paolo VI a predicare gli esercizi spirituali per l’inizio della Quaresima alla Curia Romana e allo stesso papa, era l’anno 1972. Una volta Rissa commentò: “Ciascuno di noi è al centro di combinazioni meravigliose e infinite”.
Storia della loro conversione (raccontata da Raissa, nel suo libro autobiografico: I grandi amici) Scelte di vita all’Orto botanico, poco meno che ventenni “Durante un pomeriggio d’estate passeggiavamo, Jacques ed io, nell’orto botanico…tanto caro ai parigini della riva sinistra… Ci piaceva andarci dopo i corsi (ndr.- di filosofia che li rendeva sempre più tristi e inquieti), quando io ritornavo a casa a piedi dalla Sorbona; e come tutti coloro che avevano l’abitudine di passeggiare per quel giardino, anche noi eravamo amici delle bestie innocenti, alle quali si può far piacere con un po’ di pane. Ma in quel giorno passavamo senza guardare gli orsi e senza neppure sentire le foche; decisamente non eravamo felici, eravamo invece molto infelici. Avevamo appena esaminato ciò che ci avevano portato due o tre anni di studio alla Sorbona; senza dubbio un bagaglio importante di conoscenze scientifiche e filosofiche, ma quelle conoscenze erano minate alla loro base dal relativismo degli scienziati, dallo scetticismo dei filosofi… eravamo con tutta la nostra generazione , le loro vittime. … quest’angoscia metafisica che penetra alle sorgenti del desiderio di vivere, è capace di divenire una disperazione totale e di sfociare nel suicidio. … ci eravamo appena detti, quel giorno che, se la nostra natura era così disgraziata da possedere soltanto una pseudo-intelligenza, capace di giungere a tutto salvo che alla verità…. Allora tutto diventava assurdo e inaccettabile. Non possiamo vivere secondo i pregiudizi, buoni o cattivi; abbiamo bisogno di misurare la giustizia ed il valore: ma secondo quale misura? Dov’è la misura di tutte le cose?. Desidero sapere se l’esistenza è un accidente , un beneficio o una sventura. Disprezzo la rassegnazione e la rinuncia dell’intelligenza di cui abbiamo tanti esempi intorno a noi…. Se dobbiamo rinunciare a trovare un senso qualunque alla parola verità, alla distinzione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, non è più possibile vivere umanamente. Non volevo saperne di una tale commedia; avrei accettato una vita dolorosa,(ndr- come poi effettivamente fu!), ma non una vita assurda…e anche Jacques, ora, si trovava disperato come me… questa vita che non ho scelta, non voglio più viverla in queste tenebre. Perché la commedia è tragica: si recita su un teatro di lacrime e sangue. La nostra perfetta intesa, la nostra felicità, tutta la dolcezza del mondo, tutta l’arte degli uomini non potevano farci ammettere senza ragione, la miseria, l’infelicità, la cattiveria degli uomini. O la giustificazione del mondo era possibile o la vita non valeva la pena di un istante di attenzione… in nessun caso lo stato delle cose è accettabile senza una luce vera sull’esistenza. Se tale luce è impossibile, anche l’esistenza è impossibile e non vale la pena viverla…. Se… se… andavamo aggiungendo tristi strofe di quel canto della nostra amarezza, ma vi era sempre quel condizionale nella nostra anima… prima di lasciare l’orto botanico prendemmo una decisione solenne: quella di guardare in faccia, e fino alle ultime conseguenze, per ciò che era in nostro potere, i dati dell’universo infelice e crudele, di cui la filosofia dello scetticismo e del relativismo era l’unica luce. Non volevamo accettare alcuna maschera, dei grandi uomini addormentati nella loro falsa sicurezza…. Non volevamo considerare che, dato che la Sorbona aveva parlato, tutto era stato detto… Decidemmo dunque di serbare fiducia all’incognito ancora per qualche tempo; stavamo per far credito all’esistenza , nella speranza che al nostro appello il senso della vita si sarebbe svelato, che nuovi valori si sarebbero rivelati tanto da trascinare la nostra adesione, liberandoci dall’incubo di un mondo sinistro e inutile. E che se quell’esperienza non fosse riuscita, la soluzione sarebbe stata il suicidio… Volevamo morire con un libero rifiuto,se non era possibile vivere secondo la verità… Questa filosofia della verità, questa verità ardentemente cercata, così invincibilmente creduta, era ancora per noi una specie di Dio sconosciuto; le riservavamo un altare nel nostro cuore, l’amavamo ardentemente senza conoscerla. Ma non sapevamo ciò che essa sarebbe stata, per quale via, con quali mezzi poteva essere raggiunta…" Certamente la filosofia di Bergson li aiutò in questi primi momenti della loro giovinezza e della loro ricerca ma ciò che fu fondamentale per dare una svolta decisiva alla storia delle loro vite fu l’incontro con il romanziere Lèon Bloy, che allo stesso tempo ha permesso loro l’incontro con la Fede cattolica e la Verità, da loro tanto “intuitivamente” cercata. Nel frattempo si sposarono. Ma ecco come avvenne l’incontro più decisivo della loro vita
L’incontro con la vita di un cristiano vero: Léon Bloy “Il 25 giugno 1905 due ragazzi di vent’anni salivano la scala eterna che sale fino al Sacro Cuore. Portavano in se quell’angoscia che è il solo prodotto serio della cultura moderna, e una specie di disperazione attiva rischiarata soltanto, essi non sapevano perché, dall’assicurazione interiore che la Verità di cui avevano fame, e senza la quale era quasi impossibile per loro accettare la vita, un giorno sarebbe stata svelata. Una specie di morale estetica li sosteneva debolmente, di cui l’idea del suicidio sembrava offrire l’unica uscita – dopo qualche esperienza da tentare, senza dubbio troppo bella per riuscire. – nel frattempo essi si purificavano lo spirito, grazie a Bergson, dalle superstizioni scientiste di cui la Sorbona li aveva nutriti, ma sapendo bene che l’intuizione bergsoniana non era che un troppo inconsistente rifugio contro il nichilismo intellettuale logicamente rimorchiato da tutte le filosofie moderne. Essi consideravano la Chiesa, nascosta ai loro sguardi da inetti pregiudizi e dalle apparenze di molte persone ben pensanti, come il rifugio dei potenti e dei ricchi, l’interesse dei quali sarebbe stato di mantenere negli animi le “tenebre del medioevo”. “Essi andavano verso uno strano mendicante che, disprezzando ogni filosofia, gridava ai quattro venti la verità divina e, cattolico integralmente obbediente, condannava il suo tempo e coloro che hanno la loro consolazione quaggiù, con più libertà di tutti i rivoluzionari del mondo. Essi avevano molta paura di ciò che dovevano incontrare, non avevano ancora frequentato dei geni letterari ed era ben altra cosa che andavano a cercare. Non un’ombra di curiosità era in essi, ma il sentimento più adatto a riempire l’anima di gravità: la compassione per la grandezza senza difesa. “Attraversarono un giardinetto d’altri tempi, poi entrarono in un’umile casa dai muri ornati di libri e di belle immagini e si incontrarono da principio con una specie di grande bontà bianca la cui tranquilla nobiltà impressionava e che era la signora Bloy; le due figliole, Véronique e Madeleine, li guardavano con i loro grandi occhi sgranati. Léon Bloy sembrava quasi timido, parlava poco ed a voce bassa, cercando di dire ai suoi giovani visitatori qualche cosa di importante che non li deludesse. Ciò che egli scopriva loro non può essere raccontato: la tenerezza della fraternità cristiana, e quella sorta di tremito di misericordia e di timore che colpisce davanti ad un’anima, un’anima segnata dall’amore di Dio. Bloy ci appariva il contrario degli altri uomini, che nascondono lacune gravi nelle cose dello spirito e tanti delitti invisibili sotto l’imbiancatura accurata delle virtù di socievolezza. In luogo di essere un sepolcro imbiancato, come i farisei di ogni tempo, era una cattedrale annerita. Il bianco era al di dentro, in seno al Tabernacolo. “Superata la porta della sua casa, tutti i valori erano spostati, come per una molla invisibile. Si sapeva o si indovinava che non vi è che una tristezza, quella di non essere santi. E tutto il resto diveniva crepuscolare. “in un momento in cui nulla ci dava speranza, avevamo dato fiducia all’ignoto (che noi pensavamo senza maiuscola), avevamo deciso di far credito all’esistenza, nella speranza che essa ci avesse rivelato de valori nuovi, capaci di dare un senso alla vita, ed ecco ciò che la vita ci recava! Bergson prima, e poi Léon Bloy. Bergson che si incamminava a tastoni verso uno scopo ancora lontano, ma la cui luce ci raggiungeva già, lui e noi, a nostra insaputa, come i raggi di una stella attraverso il deserto di cieli inimmaginabili. Léon Bloy, che viveva da lunghi anni unito al suo Dio attraverso un indistruttibile amore che egli sapeva essere eterno nella sua essenza. La vita lo portava alla nostra riva come un tesoro leggendario, immenso , misterioso. “Tuttavia non ci sentivamo estranei nella casa di Léon Bloy; passavamo dai suoi libri alla sua vita senza sbalzi. Tutto qui era come l’aveva descritto: vera la povertà, vera la Fede, vera l’eroica indipendenza. E lui e sua moglie, di colpo, ci avevano adottati. “Ridiscendemmo da via de la Barre e dal Sacro Cuore, arricchiti d’una amicizia singolare così dolce da parte di quell’uomo violento, che da quel primo giorno del nostro incontro ogni timore ci aveva abbandonati, che il nostro rispetto si fece audace e familiare come quello dei bambini che si sentono amati. “Naturalmente avendo visto Léon Bloy non si poteva più arrestarsi all’ammirazione letteraria nei suoi riguardi, né ad una pura compassione attiva. Bisognava andare più lontano, considerare i principi, le sorgenti, i motivi di una tale vita. Questa volta il problema di Dio era posto ed in tutta la sua forza, in tutta la sua urgenza.
La prova del battesimo “Nel febbraio 1906 caddi malata gravemente e questa malattia fu per Jacques , per Vera (sorella minore, di Raissa, che abiterà sempre con loro) e per me come un arresto dello scorrere inesorabile del tempo, del nostro tempo che passava; di quel tempo nel quale ci si lascia vivere senza che la volontà alzi la sua voce. Si vive così generalmente in un dormiveglia delle potenze. Si può lasciar scorrere così tutta la vita. “Dopo che , attraverso Léon Bloy, la questione della verità del cattolicesimo ci si era posta, erano passati otto mesi e noi non pensavamo ancora ad alcuna decisione. Un lavoro profondo si era compiuto in noi, è vero, ma soltanto nell’ordine speculativo. Tutto ciò che aveva preceduto l’incontro con Bloy e tutto ciò che lo aveva seguito – lettere, riflessioni, amicizie nuove – ci aveva da una parte condotti a convenire che nessuna delle obiezioni fatte al cattolicesimo era decisiva e d’altra parte ci aveva dato un ardente desiderio della felicità e della santità dei santi. “la mia malattia, che durò molte settimane, fu soprattutto per Jacques l’occasione di riflessioni decisive e gli diede il sentimento che era venuta l’ora di uscire dal sonno. Fu durante questi giorni d’angoscia che egli si era gettato in ginocchio, come ci si getta in mare per la salvezza di qualcuno, e aveva per la prima volta recitato il Padre Nostro. Le sue resistenze si piegarono ed egli si sentì pronto ad accettare il cattolicesimo, se era necessario. Mi disse tutto ciò dopo la guarigione. Prima non sarei stata capace di capirlo, ero troppo ammalata per pensare ad una cosa qualunque." Léon Bloy, scrive ad un amico comune : “Lasciandovi ieri, sono corso da loro (dai Maritain). Vi avevo detto, mi sembra, che mi aspettavano avendo qualche cosa da dirmi. Sì, certo, e ne sono ancora emozionato. Erano all’estremo limite del deserto e domandavano il battesimo! Nella loro ignoranza delle forme liturgiche, pensavano che avrei potuto battezzarli io stesso, poiché Raissa non ha assolutamente mai ricevuto questo sacramento e Jacques non ne ha ricevuto tutt’al più che una parvenza. Bisognò spiegar loro, e con quale ebrezza del cuore, che non essendo in pericolo di morte ed essendo facile l’intervento di un sacerdote, bisognava che ricevessero il battesimo come la Chiesa lo conferisce e non la semplice aspersione in extremis amministrata da un laico…” (è il 6 aprile 1906) Riprende il discorso Raissa: “Pensavamo ancora in realtà che tutto potesse regolarsi fra noi, Dio e il nostro padrino. Ogni manifestazione esterna ci faceva paura. Se il dibattito speculativo era finito per noi, dovevamo ancora vincere molte ripugnanze. La Chiesa, nella sua vita mistica e santa, ci era infinitamente cara ed eravamo pronti ad accettarla. Ci prometteva la fede attraverso il battesimo e stavamo per mettere alla prova la sua parola. Ma nella mediocrità apparente del mondo cattolico e nel miraggio che, ai nostri occhi inesperti, sembrava legarla alle forze della reazione e dell’oppressione, ci era stranamente odiosa. Ci sembrava la società delle persone felici in questo mondo, consenziente alleata dei potenti, borghese, farisaica, lontana dal popolo. Domandare il battesimo era anche accettare di essere separati dal mondo che conoscevamo per entrare in un mondo sconosciuto; era pensavamo, rinunciare alla nostra semplice e comune libertà per andare alla conquista della libertà spirituale, così bella e reale nei santi, ma situata troppo in alto, dicevamo , per essere mai raggiunta. “Era accettare di essere separati per qualche tempo? Dai nostri genitori e compagni, la cui incomprensione ci sembrava dover essere totale, e lo fu in molti casi; ma la bontà di Dio ci riservava molte altre sorprese. Infine ci sentivamo già come la “spazzatura del mondo” al pensiero della disapprovazione di coloro che amavamo. Jacques, malgrado tutto, restava così persuaso degli errori dei “filosofi”, che pensava che, facendosi cattolico, doveva rinunciare alla vita dell’intelligenza. “finché soltanto lo spettacolo della santità e la bellezza della dottrina cattolica ci aveva occupati, eravamo stati felici di cuore e di spirito, eravamo passati di ammirazione in ammirazione. Ora che ci disponevamo ad entrare fra coloro che il mondo odia come odia Cristo, soffrivamo una specie di agonia. … “ Finalmente comprendemmo che Iddio ci attendeva e che non ci sarebbe stata altre luce finché non avessimo obbedito alla voce imperiosa della nostra coscienza che ci diceva: Voi non avete obiezioni plausibili contro la Chiesa; soltanto essa vi promette la luce della verità; provate la sua promessa, mettere alla prova il battesimo. “Pensavamo ancora che diventare cristiani significasse abbandonare la filosofia per sempre. Ebbene: eravamo pronti ad abbandonare la filosofia per la verità, ma non era facile. Jacques accettò questo sacrificio. La verità che avevamo tanto desiderata ci aveva presi in un tranello: “se piacque a Dio di nascondere la sua verità in un mucchio di letame, diceva Jacques, proprio lì andremo a cercarla”. Cito questa parola crudele per dare un’idea del nostro stato d’animo . … “l’11 giugno, incoscienti di quello che questa data significava per il nostro padrino (Léon Bloy), ci presentammo tutti e tre (Raissa, sua sorella Vera e Jacques) alla chiesa di san Giovanni evangelista di Montmartre - (ndr.- chiesa parrocchiale, adiacente la Basilica) – io ero in assoluta aridità, non mi ricordavo più nessuna delle ragioni che avevano potuto condurmi là. Una sola cosa restava chiara nel mio spirito: o il battesimo mi avrebbe dato la fede ed io avrei creduto e sarei appartenuta alla Chiesa, totalmente; o me ne sarei partita senza mutamento, incredula per sempre. Tali erano, press’a poco anche i pensieri di Jacques… “Fummo battezzati alle 11 del mattino. Léon Bloy era nostro padrino, sua moglie la madrina di Jacques e di Vera, la figlia Véronique la mia madrina. Una pace immensa discese in noi, portando in sé il tesoro della fede. Non vi erano più problemi, più angoscia, più prove, non vi era che l’infinita risposta di Dio. La Chiesa manteneva le sue promesse ed è essa la prima che abbiamo amata. E’ per mezzo di essa che abbiamo conosciuto il Cristo. “Io penso ora che la fede, una debole fede, esisteva già, impossibile a formularsi coscientemente, nel fondo più oscuro della nostra anima. Ma non lo sapevamo. Fu il sacramento che ce la rivelò, la grazia santificante che la fortificò in noi.” La prima comunione la faranno il 3 agosto 1906 al Sacro Cuore
La restituzione della ragione “Vedo nel diario di Jacques che, soltanto un mese dopo il nostro arrivo a Heidelberg (ndr- fine agosto 1905), noi che avevamo creduto di dover rinunciare alla filosofia, cominciavamo già a vedere la possibilità di una “restituzione della ragione, di cui la metafisica è l’operazione essenziale e più alta… Ora sappiamo bene ciò che vogliamo, scrive, ed è esattamente di filosofare”. Ma questa – continua Raissa – non è che una fuggitiva scintilla. Jacques si interessava di biologia (ndr. dopo aver ottenuto già la laurea in filosofia), studiavamo le Sacre Scritture, leggevamo la liturgia di ogni giorno, secondo il consiglio del nostro padrino, le vite dei santi e gli scritti dei mistici * * * I genitori tanto di Raissa quanto di Jacques non compresero la loro conversione e ne furono profondamente addolorati. A entrambe le famiglie la loro sembrava più che una conversione un vero e proprio tradimento. Per la famiglia ebrea di Raissa un tradimento del loro popolo, per lo spirito protestante della madre di Jacques sembrò tradimento dell’ideale della liberazione degli uomini. Quest’ultima contava sull’amicizia tra Péguy e Jacques, per distruggere ciò che aveva ordito Bloy, ma Peguy quando Jacques gli raccontò la loro conversione gridò: “anch’io sono a questo punto!”… Il 6 luglio 1907 furono cresimati a Grenoble, dopo un ritiro sulla montagna di La Salette, presso il santuario delle apparizioni mariane, la Vergine piangente. Rissa si trova a fare questo commento: “…Una grazia almeno ci è stata data, quella di incontrare, tra tanti peccatori nostri fratelli, molti veri santi che sono stati il nostro conforto e la nostra consolazione nelle vie difficili che furono talvolta le nostre." Dopo un anno di preghiera per ottenere da Dio la grazia della direzione spirituale, si recarono a Versailles in cerca del p. Clérissac, domenicano. Ricordando questo momento Raissa scrive: “pensavamo commossi ai nostri primi passi verso la Chiesa, quando tre anni prima salivamo i gradini di Montmartre, ….compivamo ora il nostro primo passo importante non più verso la Chiesa, ma nel seno stesso della Chiesa, di cui eravamo da due anni i figli solitari e mendicanti; mendicanti di cielo, di verità, di pace… Ora lo sentivamo, il nostro tempo di solitudine stava per finire e dovevamo incominciare ad imparare a vivere nel mondo senza conformarci al mondo…. Il p. Clerissac amava la verità, amava l’intelligenza. Quante volte l’abbiamo (poi) sentito dirci: “La vita cristiana è la base dell’intelligenza…. Prima di tutto Dio è la Verità; andate verso di lui, amatelo sotto questo aspetto”. Pensava come sant’Agostino che la beatitudine eterna è la gioia della verità (gaudium de veritate).” Il p. Clerissac ebbe anche la consolazione di essere testimone della morte cristiana di Oscar Wilde, egli era infatti presente quando il padre passionista Dunn diede al morente O.W il battesimo e l’estrema unzione. Sotto la guida di questo domenicano comincia per i Maritain la lettura della Summa teologica di San Tommaso d’Aquino. Così commenterà Raissa: “lasciati provvisoriamente alle nostre spalle i filosofi, … e avendo fatta tabula rasa delle loro filosofie … era delizioso vivere lontano dalle loro dispute, e lasciare un poco alla volta che la nostra ragione umana si ristabilisse, si reintegrasse al sole delle verità eterne… “sentivamo che stabilire la ragione nella fede, innestarla sull’albero di Jesse era non indebolirla ma fortificarla, non asservirla ma liberarla, non snaturarla ma ricondurla alla purezza della sua propria natura; come illuminare colui che avanza a tentoni e che cammina nelle tenebre non è condurlo fuori della propria strada, ma fargli vedere la via dove si propone di camminare “L’atteggiamento del nostro spirito restava più filosofico che teologico “Il teologo possiede i principi della sua scienza nelle verità divinamente rivelate partendo dalle quali egli procede per l’approfondimento dei misteri attraverso vie razionali, tributarie esse stesse di qualche filosofia. Al contrario il filosofo trova i suoi principi stessi nell’ordine dell’intelligenza e della ragione. In quest’ordine puramente naturale egli ragiona o sragiona a suo piacere. Nell’epoca di cui qui si tratta (ndr. Ma è ancora la nostra oggi!), si era in generale allo sragionamento, perché attraverso la negazione idealista dei legami ontologici dell’intelligenza all’essere e all’esistenza si esaltava all’infinito una conoscenza di cui si aveva in realtà rovinata la natura e la validità. Bergson vi portava in parte un rimedio dando all’intuizione ciò che si era tolto all’intelligenza. “E furono queste verità filosofiche che ci apparvero da principio con grande luce nella Summa Teologica, enunciate o sottintese, presenti dappertutto… Ora Aristotele si imponeva nella sua grandezza, prendeva il suo vero volto, in grazia di un teologo ispirato. “Fu tremando di curiosità e di timore che aprii per la prima volta la Summa Theologica.. la Scolastica non era, secondo la reputazione corrente, un sepolcro di sottigliezze cadute nella polvere? E il principe della Scolastica non stava per gettare un poco di questa polvere sulla fiamma della nostra giovane fede? Dalle prime pagine compresi la vanità e la puerilità delle mie apprensioni. Tutto qui era libertà dello spirito, purezza della fede, integrità dell’intelletto illuminato dalla scienza e dal genio. “La serenità dello stile in apparenza impersonale, il cammino tranquillo della ragione che dava ad ogni parola il suo senso più vicino all’intuizione intellettuale da cui nacque, e perciò stesso la pienezza del suo significato, una potenza spirituale quasi angelica, che permette a san Tommaso di contenere nelle proposizioni più brevi delle verità senza numero che si incatenano le une alle altre secondo la stessa gerarchia degli esseri reali, e con incessanti ringraziamenti continuai la mia lettura…” Jacques Maritain si sarebbe applicato agli stessi studi: Aristotele e san Tommaso, solo un anno più tardi e così scrive Raissa: “Ma più tardi non ero io che avrei dovuto applicarmici, ma Jacques , filosofo per vocazione. Jacques non doveva affrontare lo studio di Aristotele e di san Tommaso che circa un anno più tardi. In qual maniera egli comprese i loro principi e come condusse la propria opera filosofica appare da tutte le sue opere…il mio grande privilegio fu di ricevere senza alcun merito e senza alcuna fatica, da una mano così cara, i frutti spirituali della sua fatica, ai quali non potevo attingere senza il suo aiuto, ed ai quali tuttavia aspiravo con un desiderio profondo e vitale. Sono stata esaudita in questa maniera; ho vissuto in un’atmosfera di rigore intellettuale e di dirittura spirituale grazie a san Tommaso d’Aquino, grazie a Jacques e non posso più scrivere queste cose senza piangere di confusione e d’amore. Scrive su di loro Pietro Viotto Raissa e Jacques sono “la testimonianza di una spiritualità che manifesta come l’amore umano e l’amore divino, l’impegno culturale e l’ansia per l’apostolato possono convivere nell’esperienza di anime assetate di Assoluto in una reciprocità di intenti e di comprensione affettuosa…. Non c’è pagina che Jacques abbia scritto che prima Raissa non abbia ascoltato e discusso, come annota Jacques nel 1963 ricordando le inquietudini e la sofferenza di Raissa: “A dominare tutto il resto c’era poi la sua preoccupazione per il mio lavoro filosofico, e per la specie di perfezione che ne aspettava. A questo lavoro Raissa ha sacrificato tutto…”, In questa collaborazione continua a Raissa spetta il primato della contemplazione e della poesia, a Jacques quello dell’azione e della filosofia. I Maritain non hanno elaborato la loro filosofia estetica attraverso delle deduzioni logiche, ma dal vivo della frequentazione degli artisti, con i quali convivevano e sui quali ebbero un’influenza profonda. Il loro lavoro filosofico consisteva secondo le stesse parole di Jacques: “nell’attaccare il diavolo sul suo stesso terreno. Si trattava di sloggiare dalle loro posizioni quelli che san Paolo chiama principati e potestà, e contro i quali si dice che il cristiano deve lottare più che contro le creature fatte di carne e sangue. Raissa, sospettava tutto questo. Capisco meglio adesso perché ha dovuto tanto soffrire. Era lei che portava il peso maggiore del combattimento, nelle profondità invisibili della sua preghiera e della sua oblazione”. E Viotto ci fa così teneramente riflettere: Jacques e Raissa Maritain si sono santificati non malgrado il loro matrimonio ma attraverso il loro matrimonio, anche quando a un certo momento della loro vita coniugale hanno liberamente fatto voto di castità. Jacques ha scritto nel 1963 una lunga nota su Amore e amicizia… nella quale distingue l’amore di cupidigia e l’amore di dilezione fino a trasfigurare nell’amore folle per Dio l’amore coniugale. In questa prospettiva religiosa il coniuge ama ancora l’altro coniuge, ma non più per se stesso, bensì nell’amore di carità che tutto comprende, il desiderio come il possesso, la gioia come il dolore, l’amicizia come l’amore, perché gli sposi cristiani sono tutt’uno nel sacramento che li unisce a Dio. Non si tratta di negare l’amore romantico, l’amore umano, ma di evitare che decada nell’amore di cupidigia per elevarsi nell’amore d’amicizia. Jacques così descrive la sua sposa: “Bontà , purezza, Raissa va sempre fino in fondo nelle sue azioni, con un’intenzione ben dritta e una volontà integra: il suo coraggio è senza calcolo e la sua pietà senza difesa. Dove non c’è bellezza ella si sente soffocare, non può vivere. Raissa è sempre vissuta per la verità, non ha mai resistito alla verità. Il suo spirito non ha mai fatto una grinza e il suo dolore non è stato mai mentito. Ella dona tutto, senza tenere nulla per sé; per il suo cuore come per il suo intelletto è la realtà essenziale che importa: nessun elemento accessorio riuscirebbe a farla esitare. Il suo pensiero e la sua natura sono per inclinazione intuitivi; siccome è una creatura tutta interiore, è tutta libera; la sua ragione si appaga solo con il reale, la sua anima con l’assoluto” (in Maritain: “Ricordi e appunti”).
Spiritualità e mistica L’anima di Raissa (dal suo diario pubblicato postumo dal suo sposo Jacques) “Conoscete la vostra religione, cattolici, conoscete la vostra grandezza…. “Atea preferivo la metafisica perché è la scienza suprema, il coronamento ultimo della ragione, Cattolica, l’amo anche perché permette di accedere alla teologia, di realizzare l’unione armoniosa e feconda della ragione e della fede… non mi bastava vivere, volevo una ragione di vivere e dei principi morali che poggiassero su una conoscenza assolutamente certa…. “Se mi disprezzano, devo pensare che è giusto; se mi giudicano male, devo essere convinta che hanno ragione. Però devo essere in pace e contenta, perché ho il diritto, come le altre creature, di stare vicina a Dio… se amo il posto in cui Dio mi ha collocata, ho diritto alla pace, alla gioia, alla contemplazione del mio Dio…non agirò per disprezzo, ma accettando tutto il disprezzo che si può avere per me, cercherò serenamente un rifugio in seno alla Divina Misericordia… Mio Dio non ti domando altro che la carità e l’umiltà… “La beatitudine comincia con l’umiltà” diceva Sant’Agostino “Tu sai, o Creatore di tutte le cose, che cos’è un cuore vivente, un cuore di carne e di sangue in cui cielo e terra si combattono. Tu sai che il cuore dell’uomo che ti cerca deve, per trovarti, soffrire, morire mille morti “c’è anche un compimento della Passione che non può essere realizzato se non da creature fallibili, ed è la lotta contro la caduta, contro l’attrattiva di questo mondo come tale, contro la seduzione di tanti peccati che rappresentano la felicità umana. Questo dono, Gesù non lo poteva fare al Padre; noi soli lo possiamo. In questo c’è un modo di riscattare il mondo, e di patire, il quale non è accessibile che ai peccatori. Rinunziando ai beni di questo mondo che in alcuni casi il peccato ci avrebbe procurati, offrendo a Dio la nostra beatitudine umana e temporale, noi gli diamo l’equivalente proporzionale di quanto Egli ci dà, perché gli diamo il nostro tutto, l’obolo della povera vedova del vangelo (n. 53) “24.11.1934- Orazione terribile. Dio mi domanda più della vita: accettare la morte vivente, il deserto della vita. E’ più che donare la propria anima. Amaritudo amarissima (n. 51) Una sua preghiera . “Mio Dio il mio cuore sia puro, la mia intenzione sia retta, il mio corpo sia casto. Mio Dio, nessuno abbia a soffrire per colpa mia, la tua Verità m’illumini, la tua Volontà sia fatta. Amen”
Raissa: la morte di una mistica: scrive Jacques, Parigi, sabato 27 agosto 1960: “Verso sera Raissa ripete più volte, con un sorriso raggiante: “sto per morire, sto per morire…”. Poi dice per consolarmi: “scherzo”. E dopo di questo mi dice di aver sognato, qualche giorno fa: “stavo per morire e per fare la mia ascensione”. Ed era ben contenta. “E’ bello, vero, essere con Dio”. Ebbe dunque la premonizione della sua morte, e lei ne fu consapevole, ma cercò di indorare un po’ la “pillola”, per il suo amato sposo. Jacques, la morte di un filosofo cristiano Su insistenza del direttore della sua casa editrice la Fayard, Jacques, novantenne, recatosi a Parigi per consegnare dei manoscritti, acconsente a lasciarsi fotografare un’ultima volta, Jacques sceglie come luogo del servizio l’Orto botanico di Pargi, il luogo dei sui primi incontri con Raissa. Jacques senza preoccuparsi del fotografo che fa il suo lavoro “passeggia lungo un viale del giardino guardandosi tranquillamente intorno, con quel suo sguardo dolce e diritto. In quel momento noi sapevamo, senza alcun bisogno che ce lo dicessimo, che Jacques rendeva grazie a Dio e a Raissa, per quei settant’anni trascorsi da una certa passeggiata in quei medesimi luoghi con la giovane Raissa; essi allora non avevano ancora vent’anni e disperavano di trovare un senso alla parola verità, di potere conoscere il senso profondo della loro esistenza. Tre mesi dopo Jacques passava in pace all’altra vita” (P. Viotto).
Questi meravigliosi personaggi ci fanno capire prima di tutto con la loro stessa esistenza, che anche agli intellettuali, ai “professionisti” del pensiero e della cultura cosiddetta moderna, è possibile percorrere la via della verità, il cui sentiero è già stato tracciato: dall’essere e dai suoi fondamenti, fino all’Essere per Essenza. Purtroppo succede che il male dei nostri giorni è che si vuole una filosofia senza l’essere e un cristianesimo senza Gesù, snaturando assolutamente tutto. Un pensiero onesto arriva alla Verità, impara a coniugare ragione e fede e diventa capace di assaporare i vantaggi che la fede porta alla stessa ragione. C’è veramente da intercedere presso lo Spirito Santo perché si compiaccia di donare ancora questa capacità agli esseri umani, di permettere ancora a qualcuno di farsi segnale indicatore della vera Via, quella “Via Sacra” di cui parla l’antico testamento, sulla quale solo i giusti potranno incamminarvisi……Perché è Sacra la via che conduce alla Verità, perché dona la Vita, ma gli insensati non la percorreranno. A tutti voi che leggete non posso che augurarvi di cercare quella via, per non smarrire la vostra anima e la vostra intelligenza dietro le favole, o la falsa moneta intellettuale, come ammonisce sovente Jacques, nel suo ultimo libro, “Il contadino della Garonna”! --- [se la visualizzazione è troppo piccola, vi consigliamo di cliccare sulla scelta: tutte le pagine]
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