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           Card. Anastasio BALLESTRERO (carmelitano)
 
 

Dal mese di dicembre 2011 e per tutto il 2012 la meditazione sulla home page del sito, sara caratterizzata dalla spiritualità del  Card. Anastasio Ballestrero, carmelitano (1913-1998)

                Alcune notizie sulla sua vita

Entrato a far parte dell'ordine carmelitano con il nome  di Anastasio del SS.mo Rosario, di cui ne divenne per 12 anni il Superiore Generale. Ha partecipato attivamente al Concilio Vaticano II,  anzi come superiore generale dei carmelitani Scalzi, già aveva preso parte ai lavori preparatori fin dal 1960, quando era stato nominato da Giovanni XXIII consultore  della Commissione teologica. Intervenne in aula, secondo gli atti conciliari, una sola volta (11.11.1964) nel dibattito sullo schema concernente i religiosi, affermando tra l'altro: "Per evitare che le parole rinnovamento o adattamento generino confusione di idee, sarebbe necessario porre in maggiore evidenza che esse significano essenzialmente un ritorno dei singoli e delle comunità al fervore primitivo, e un adattamento alle esigenze dei tempi. E' necessario porre a base dell'aggiornamento, nelle sue varie fasi, solidi criteri soprannaturali, per non cadere nè nell'immobilismo, nè nell'inquieto prurito di novità, che vorrebbe sovvertire tutto. i religiosi devono essere testimoni di santità e perciò il loro rinnovamento non è sinonimo di "moderniz-zazione", ma è piena adesione agli ideali che hanno dato vita alle varie famiglie religiose. Occorre insistere affinché lo spirito dei Fondatori venga conservato anche in ciò che riguarda l'esercizio dell'apostolato e mai si corra il rischio di una specie di standardizzazione.... Oggi nel mondo si coltiva la specializzazione; è opportuno perciò tenere vive le differenze tra i vari ordini e congregazioni". Ed è lui che si accorse che la costituzione pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo, avrebbe portato un nome che contraddiceva macroscopicamente lo spirito ottimistico che ispirava invece il documento. Le prime parole di tale documento erano infatti: Angor et luctus seguita da gaudium et spes, e come sappiamo, le encicliche portano il nome delle prime parole di un documento. Così "Qualcuno notò la non piccola incongruenza, cui subito si rimediò, e la Angor et luctus divenne poi la Gaudium et spes" che tutti conosciamo. Quel qualcuno era appunto il padre Anastasio del Ss.mo Rosario. Dalla sua intensa partecipazione ai lavori conciliari il Card. Ballestrero potè assimilare una genuina mentalità conciliare, che cercò di trasmettere nel suo Ordine Carmelitano e poi nel magistero episcopale a Bari, Torino e alla presidenza della CEI. "Profondo conoscitore  dei testi conciliari, sia per aver contribuito alla loro redazione, sia per aver vissuto il clima del Concilio, più che aspetti particolari ne privilegiò le sintesi e i grandi temi di fondo. Negli immediati anni post-conciliari, ancora generale dell'Ordine, con esortazioni e lettere cercò di introdurvi le riforme del Vaticano II, e alla scadenza del mandato, (1.7.1967), indirizzò una Istruzione all'Ordine sull'aggiornamento della vita religiosa secondo il Concilio. In sintonia con il suo intervento in aula conciliare, volle dai suoi frati un aggiornamento inteso come "fedeltà alla Chiesa, ritorno perenne allo spirito originario dei Fondatori, orazione, ascesi, povertà ed austerità con la scelta della sequela Christi vissuta secondo il vangelo delle Beatitudini"-"

 


(da: Ricordando il Concilio - Ldc - 1991)













 Dicembre 

(Apri le porte della tua casa a Gesù)

 da Silenzio e Stupore

Gesù, Parola eterna di Dio 

Forse abbiamo bisogno di ascoltare di più, forse abbiamo bisogno di ricordarci che questo nato Signore è la Parola eterna di Dio, il Verbo di Dio, quell’unica Parola che Dio benedetto ha pronunciato da tutta l’eternità, nella quale ha raccolto ogni sapienza e ogni verità, e dalla quale ha tratto l’ispirazione inesauribile dei suoi disegni di Salvatore di misericordia. E questa Parola va ascoltata. Leggendo il Vangelo, Gesù è nato di notte, quando l’umanità era chiusa nell’ombra ed era chiusa nel silenzio. C’è una magnifica antifona del tempo natalizio che dice: “mentre il silenzio avvolgeva ogni casa, la tua parola onnipotente, Signore, è discesa dalle sedi regali ed è venuta ad abitare tra noi” (Sap. 8, 14) . Questa Parola va accolta in silenzio, adorando; va accolta in silenzio, pregando, interrotta soltanto dallo stupore e dal gaudio degli angeli e dei santi, di Maria e di Giuseppe. Ma dobbiamo stare attenti: Giuseppe e Maria erano stupefatti per le cose che sentivano dire; intorno all’incarnazione non abbiamo bisogno di parlare molto, abbiamo bisogno di ascoltare in silenzio. Non c’è che il silenzio che possa accogliere come merita questo evento; non c’è che la contemplazione silenziosa che possa farci raggiungere da questa Parola che salva, da questo Signore che, eterna Parola, si fa uomo, perchè il peccato dell’uomo venga espiato e la sua vocazione ad essere figlio di Dio si realizzi in pienezza.

 
 
 





Gennaio

(Percorri quest’Anno, sulla strada di Gesù)

Gesù è la strada

 

Qual è la strada per la quale il Signore viene? “Egli annichilì se stesso prendendo la natura di servo...e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7). E’ la strada dell’umiltà, dell’annientamento. Dall’”Ecco” eterno del Verbo detto al Padre suo, fino ad oggi, Cristo viene attraverso l’umiltà. Per incontrarlo, bisogna andare per questa strada. Del resto, non ha detto Gesù: “Chi vuol venire dietro di me... rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno” (Lc 9, 23)? Ecco la strada. Ma Gesù ha detto anche una parola più forte; ha detto che la strada è lui (cfr. Gv 14, 6). Egli si fa strada e diventa la strada di tutti. Che cosa è questa strada se non il mistero di umiltà e di passione del Signore?

Possiamo dire che, per venire nell’umiltà, il Signore ha fatto un cumulo di miracoli a rovescio. Quante cose ha messo insieme per venire nell’umiltà: si è abbassato ad essere uomo e in che modo! E’ riuscito a venire sconosciuto, nascosto, rifiutato, perseguitato. Nell’umiltà ha cercato la Madre sua.

All’”Ecco” eterno del Verbo che accetta dal Padre di essere l’Incarnato, risponde l’”Ecco la serva del Signore” nel tempo, di colei che egli sceglie per sua Madre.

Lui “prendendo natura di servo”, lei “ecco la serva del Signore”; è il servizio nell’umiltà. Dalla culla alla croce il mistero del Signore Gesù è un mistero di umiltà. E’ per questo che Gesù è la via, ed in questo senso è anche la nostra strada.















Febbraio

 

(Gesù non è l’Uomo degli Altri, ma fondamentalmente Egli è l’Uomo per il Padre)

 

L’uso del tempo

La nostra vita, breve o lunga che sia, nell’eternità avrà una dimensione intimamente connessa con l’uso che avremo fatto del tempo. Se il nostro tempo sarà stato tutto di Dio, la nostra vita sarà tutta di Dio... Perciò, dovremo avere la grande, la suprema preoccupazione di dare il tempo a Dio, di spenderlo per la sua gloria, come ha fatto Gesù per il Padre suo, essendo quaggiù Verbo Incarnato. Dovremo studiare come Gesù ha speso il suo tempo dal momento della sua incarnazione fino all’ascensione al cielo, cioè tutto il periodo temporale della sua vita. “Io mi devo occupare delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). Egli si è sempre ricondotto a questo principio, e i diritti del Padre e le cose del Padre sono passate su tutto e su tutti, valiccando ogni diritto, anche quelli della Madre. Gesù ha speso il suo tempo per il Padre. Durante i trent’anni della sua vita silenziosa e nascosta poteva essere giudicato come qualcuno che perdeva il suo tempo, perchè non lo dedicava ai successi umani; ma egli glorificava il Padre: “io mi devo occupare di quanto riguarda il Padre mio”.

“Cristo , ieri, oggi e nei secoli” (Eb 13,8).  E’ Lui la novità e il tempo assume da Lui il suo significato; è Lui che lo vivifica. Da quando Gesù si è incarnato il tempo è più che mai il sacramento della presenza di Cristo nella vita dell’uomo. Il Signore passando nella nostra vita, ci trovi a sua volta presenti e capaci di accompagnarci con Lui per la strada che, illuminata dalla sua presenza, non ha sera; che illuminata dalla sua luce, non ha tramondo. Passa il tempo, ma non passiamo noi; passa il tempo, ma non passa Dio, anzi il passare del tempo è il ritmo di questo venire di Dio verso di noi e di questo nostro andare verso di Lui, fino a quanto tutto riposerà nell’incontro consumato dell’eternità. Fino a quando non giungerà quell’ora, siamo qui, aspettando il Signore ed il Signore è qui, aspettando noi. Questo reciproco aspettarci dà contenuto  alla storia del mondo, alla storia di ogni nazione, alla storia della Chiesa, alla vita di ciascuno di noi.




Una mistica francese del 1800 scriveva, la Preghiera dell’attesa: “Ti attendo, Signore, e aspettandoti attenderò. Aspettarti sarà la consolazione della mia attesa. E sarà eterna gioia di averti aspettato poichè un giorno Tu sarai venuto”- “Come sarà bello il giorno in cui  il Signore si mostrerà! Ci ricorderemo allora delle nostre tenebre e delle nostre privazioni? No credo.... Anticipiamo con la fede, la speranza e la forza dell’amore, questo stato futuro, dimenticando la sofferenza dei giorni fuggitivi, col pensiero che ciò che passa è nulla, che Dio solo è tutto...”








 


 

Marzo



Siamo nelle mani del Signore

 

Le sante mani di Dio! Parliamo sempre del cuore, del volto di Dio, santa Teresa parlava degli occhi di Dio; ma parliamo poco delle mani del Signore. La liturgia ci fa pregare molte volte: “Nelle tue mani, Signore, metto il mio Spirito”, ma ci pensiamo poco. Siamo nelle mani del Signore, e noi sappiamo a cosa servono le mani: esse sono lo strumento dell’operare. Dio ci prende con le sue mani e che cosa fa? Quello che gli pare. Se lo si lascia fare, ci prende gusto, ma se gli si resiste, abbandona. Mani benedette del Signore, che rappresentano tutta la fedeltà di lui nella nostra vita, la sua presenza, la sua influenza! Lasciamolo fare sia quando agisce attraverso i suoi messaggeri, e tutte le cose sono messaggeri suoi, come quando agisce direttamente senza intermediari. Però ricordiamoci che il lasciarlo fare nella gioiosa pazienza è precisamente il preludio e la disposizione migliore per lasciarlo fare con quei modi ineffabili che lui sa....Impariamo a essere docili. Lasciar fare il Signore nella nostra vita, lasciare che sia lui il principio di ogni operazione e di ogni gesto...se noi non legassimo le mani al Signore, chissà cosa farebbe di noi! Da tutta l’eternità ci ha pensati con un determinato disegno. Un bel giorno ci ha fatti come una materia grezza: è stato il giorno in cui siamo nati. E poi, da quell’artista che è, ha cominciato a lavorare su questa materia per realizzare il capolavoro che da tutta l’eternità egli ha pensato. E tutto quello che è in noi, per cui crediamo alle volte di essere fatti male, nel disegno di Dio è permesso in funzione di quel capolavoro che egli sta facendo giorno per giorno. È necessario che siamo nelle sue mani materia docile, cioè che non abbiamo consigli da dargli, ma soltanto da ricevere; che non abbiamo gusti da contrapporgli, perchè siamo fatti per lui e per i suoi gusti. Non c’è nessun peccato che impedisca al Signore di fare un santo, come non c’è nessuna miseria che impedisca al Signore di glorificarsi in una santità.


 

        


Una mistica francese del 1800 scriveva: “-Il Signore mi dice: lasciami fare, ma lasciami fare tutto...io non sceglierò, per esaudirti, nè il giorno, nè l’ora, nè la forma che tu hai previsto e voluti...coloro dai quali tu attendi, presso i quali tu cerchi, ti lasceranno e coloro dai quali non attendi nulla verranno a te per un mio ordine... – Dunque: Fare per Dio è qualcosa, ma lasciar fare Dio, ecco l’importante, il difficile, il decisivo”

 











Aprile  – Pasqua -

 

I vizi capitali e la passione di Gesù

Meditiamo per un momento i vizi capitali. Eccoli tutti lì ad aizzare il cuore degli uomini contro Gesù.

La superbia, circonda Gesù: tra gli apostoli da pochi giorni serpeggia la delusione per la lite circa i primi posti nel Regno (cfr. Lc 22,24). Tra i nemici di Gesù c’è l’opposizione piena d’orgoglio. Gesù non accetta di essere discepolo degli scribi e dei farisei: è Maestro... e loro si sentono offesi (Mt 23,8). La superbia delle autorità occupanti: guardano Gesù dall’alto; parlano in nome di Cesare innanzi al Figlio di Dio e pretendono di avere una risposta. C’è la superbia idiota del re lussurioso: pensa d’aver diritto a vedere miracoli e si vendica quando si vede tratato come merita (Lc. 23, 8-11). C’è ancora la superbia presuntuosa e inconsapevole degli apostoli, i quali, quando Gesù li previene che nella notte del tradimento si scandalizzeranno per causa sua, protestano; benchè san Pietro sia il protagonista della famosa espressione: “Anche se tutti si scandalizzeranno, io non mi scandalizzerò”, l’evangelista nota che tutti dicevano la stessa cosa (Mt 26, 31-33). In questa presuntuosa superbia degli apostoli c’è la superbia di tutta l’umanità. Quanta superbia degli uomini nella passione di Gesù ! Gesù ha appena finito di dare l’esempio della suprema umiltà lavando i piedi agli apostoli, mettendosi al loro servizio, chinandosi  e prostrandosi davanti a loro; ma la superbia degli uomini ha la sua ora, l’ora delle tenebre.

C’è l’avarizia. “Giuda era ladro” (Gv 12,6), il traditore era ladro. E il Vangelo mette bene in chiaro che l’avarizia ha giocato la sua parte nel travolgere lo spirito e il cuore di Giuda. Ma non c’è soltanto la sua avarizia.

C’è la lussuria di Erode e della sua corte che, con questa idiota superficialità di coloro che sono abbrutiti dal peccato, pensano soltanto allo spettacolo, al gioco. Quanto egoismo in tutto ciò!

C’è l’invidia. E’ tutta una trama di invidia quella che si raccoglie nell’ora delle tenebre. Gli scribi e i farisei sono invidiosi di Gesù: sopportano male che le folle lo seguano e lo acclamino Maestro. Vedono cadere il loro prestigio; sono invidiosi del bene che le folle vogliono a Gesù; e soprattutto sono invidiosi di quella sua immacolata integrità, perchè non lo possono veramente mai prendere in fallo nè nelle parole, nè nelle opere. C’è invidia tra di loro. Caifa è il sommo sacerdote, ma fa i conti per basso calcolo con l’avido Anna, il quale non ricopre alcuna carica, ma è potente perchè è pieno di soldi, di mezzi e d’influenza. Pilato pensa di uscir d’imbarazzo mandando ad Erode il suo rivale, il suo antagonista; e diventano amici... E’ sempre così!

C’è l’accidia. Gli apostoli dormono. Sono stanchi, ed hanno il cuore pigro. Come si fa a dormire mentre il Maestro è solo, agonizzante? Ma ... la notte è fatta per dormire! Succeda quello che vuol succedere.

Povero san Pietro! Ha freddo e va a scaldarsi ... ma come la paga cara! Dove lo portano l’accidia, la pigrizia, lo spirito di comodità!

C’è l’odio e l’ira. Quanti episodi! Certo il gesto di Pietro che tira fuori la spada non è un gesto di zelo, bensì un impeto di rabbia. Gli schiaffi che riceve Gesù, altri impeti di rabbia. Veramente il Signore cade nelle mani dell’ora delle tenebre, e queste mani sono i vizi di tutti gli uomini di tutti i tempi.








Maggio  - Il senso della creaturalità


L’Umiltà radice del servizio

“L’umiltà è la virtù che ci fa persuasi che siamo piccoli, che non siamo niente, ma ciò non vuol dire che non siamo niente, non vuol dire che ci dobbiamo sentire piccoli, prescindendo da quello che siamo nella realtà. La nostra condizione è di povertà. Siamo creature, e come tali non dobbiamo niente a noi stessi, ma tutto ciò che siamo, che facciamo, che possiamo, non è nostro, bensì è di Qualcuno che ce lo ha dato”

“Ci si rende conto che siamo nelle mani di qualcuno che, per il fatto stesso di averci nelle mani, ci consacra. Siamo fatti da Dio e per Dio e il sentirci nati per Dio diventa la sorgente del senso della dignità dell’uomo. Da Dio, Di Dio, per Dio. Non c’è nessuno che sia più presente, più intimo a noi di Lui, il quale è più intimo a noi di noi stessi. Perchè noi? Perchè non arriviamo a  scandagliare l’abisso del mistero, siamo nostri fino ad un certo punto e ci conosciamo fino ad un certo punto. E questa non è una constatazione disperata, ma che ci vivifica, perchè, in fin dei conti, c’è uno solo che ci Conosce (Dio). Nella nostra vita Dio penetra dal di dentro, dal profondo, non è  uno straniero che arriva, siamo piuttosto noi, con le nostre piccole dimensioni creaturali, che facciamo fatica a lasciarlo emergere, a dargli spazio. Dio ha voluto avere in noi una patria, per questo ci ha creato e noi non siamo creature se non ci impegniamo ad avere per patria lo stesso Signore.” (A Misura di Dio –LDC)

“Siamo creature umane, e perciò stesso abbiamo tanti limiti... i limiti della nostra creazione; siamo stati creati in un determinato modo, dobbiamo trascinare il peso del nostro essere, dobbiamo sopportare la prigionia del nostro spirito, dobbiamo accettare la provvisorietà della nostra esistenza, siamo soggetti all’ignoranza, alla morte, ad un cumulo di passioni; e questi sono tutti dati oggettivi, non sono ipotesi, sentimenti, sono la realtà, la verità. Ciò che maggiormente importa nell’umiltà è questo convincimento della nostra realtà, realtà sottoposta, dipendente, subordinata, limitata, disordinata. E ciò che conta è accettare questa realtà, non con rammarico, non per forza, ma accettarla volentieri. L’itinerario logico dell’umiltà è quello di accettare volentieri, per Dio, la nostra piccolezza, la nostra miseria, di riconoscerla; e, nello stesso tempo, questo essere soggiogati dall’esperienza della grandezza del Signore, ci rende più disponibili nelle mani di Dio, basta che il Signore dica: Va’, e noi andiamo, senza preoccupazioni: l’ha detto il Signore!... (questa realtà), la nostra umiltà non è un impedimento alla presenza di Dio, ma è una ragione della presenza di Dio. L’Umiltà è la radice del servizio. Di solito il servire non ci pesa per la fatica che ci domanda, ma per l’umiliazione che implica.... non dobbiamo mai essere stanchi di servire il Signore, mai! E anche quando avremo dato tutto e non avremo più energie, diremo al Signore: sono stanco di tutto meno che di servirti. Non ti posso più servire lavorando? Ebbene, ti servirò facendoti praticare la pazienza con me. Anche quello è un servizio! Dobbiamo pensare che tante volte il nostro modo di servire il Signore è proprio la nostra impotenza. Le creature non si possono servire con l’impotenza, ma il Signore si, e talvolta egli dispone che il nostro servizio verso di lui sia fatto soprattutto d’impèotenza, d’insuccessi, di pasticci."

Oh, la preziosità dei nostri pasticci nel servire il Signore! Gli uomini non ce li perdonano, e così il nostro servizio è al sicuro dalla lode umana, ma il Signore li perdona e tante volte aspetta più quelli che il resto. Perciò, non facciamo il proposito di fare dei pasticci, (no di certo), ma facciamo il proposito di servire il Signore anche con i nostri pasticci, se succedono. Non è bello questo?


                                                * * *

Lo sguardo del Signore è su di noi, non sulle nostre opere. Quando egli vuole un’opera, la compie in un istante con dei mezzi poveri. Ma a Dio occorre  invece la prova del nostro amore, con un lavoro costante, anche se senza risultato. Ciò di cui Dio non ha mai abbastanza sono delle anime umili e vere, che si dimenticano per pensare a Lui. I suoi disegni sono su di noi, non sulle nostre opere. E’ te che vuole!

(Sofia Prouvier – mistica francese - 1800)










Giugno

 

Dov’è casa nostra

 

Nessuno si trova nel mondo come in paradiso, e tutto questo intrecciarsi di difficoltà, di angustie, di preoccupazioni, di soprassalti così improvvvisi, è una lezione che il Signore ci dà. Dobbiamo impararla, perchè non c’è dubbio che la civiltà di oggi, con tutta la sua superbia e con tutta la sua presunzione, tenta molto l’uomo in questa direzione, cioè nel fargli credere che adesso, con la civiltà, mettiamo tutto a posto. Si tende a fare il mondo senza croce, senza patire, senza fame, il mondo che fa tutto quello che vuole. Di fronte a ciò ecco che il buon cristiano interpreta le vicende della vita di ogni giorno nella luce della Provvidenza, e apprende questa prima grande lezione: possiamo farlo bello finchè vogliamo questo mondo, ma non è casa nostra. “non abbiamo qui una città sicura, ne cerchiamo una futura”.

Questo sguardo verso l’eternità deve essere più acuto, specialmente in tempi come i nostri, dobbiamo guardare al paradiso, non per lasciarci prendere dal pessimismo o dal disfattismo, ma per vedere le cose nella loro vera luce. Perchè quella è la nostra casa. Siamo di passaggio in questo mondo, stranieri siamo! Voglia il Signore che lo sentiamo davvero ed ogni giorno di più. Dobbiamo sentirci così profondamente stranieri in questo mondo da alimentare sempre la nostra nostalgia del paradiso, il nostro desiderio della vita eterna. Siamo nel mondo per vivificarlo di questo desiderio e di questa speranza. Ci sono tanti uomini che si affannano a costruire un illusorio paradiso terrestre; ma noi dobbiamo essere nel mondo per mantenervi viva la fede, la speranza della vita eterna. Dobbiamo essere come il fermento che trascina il mondo al di fuori della sua prigionia e lo porta nella casa del Padre; nel seno del Padre, perché per questo siamo stati fatti. La storia del mondo non ha altro significato che questo: è una strada regale attraverso la quale Dio giunge all’uomo e l’uomo giunge a Dio. Tutto il resto è vanità, illusione, un pugno di polvere, di vento, che non merita nessuna stretta da parte nostra, tuttavia di tutto ciò ci dobbiamo servire per desiderare sempre più profondamente il giorno del Signore.












Luglio

 

Pregare è: lavorare, in noi,  il desiderio di Dio

 

Il desiderio di Dio e dell’amore di Dio non è da lasciare sottinteso. Bisogna coltivarlo giorno per giorno con impegno rinnovato. Noi amiamo il Signore con la nostra volontà; è questa la facoltà del nostro amore di Dio, dobbiamo dunque impegnarla a volere questo amore di Dio e a praticarlo con i desideri. I desideri hanno la loro importanza per quel giudizio e quella volontà di scelta che esprimono. È per questo che il più grande desiderio che si possa avere è il desiderio del Signore. Perchè? Perchè è la nostra scelta, è la nostra vita, è un po’ la nostra professione. Il desiderio di Dio non è soltanto l’oggetto, della virtù teologale della speranza, ma è anche l’oggetto, l’occupazione di tutta la nostra vita. Il chiedere di vedere il Signore è il desiderio di lui: la nostra intelligenza lo desidera come verità, la nostra volontà lo desidera come bene, il nostro cuore lo desidera come amore. Ma alla base cosa c’è? Una scelta: la scelta di Dio! La mia anima deve diventare il paradiso di Dio, e non lo diventa se non nella misura in cui io divento docile, sottomesso, arreso, abbandonato a questo amorosissimo Signore. E allora tutto si semplifica, tutto diventa lineare. Non si tratta più di molte cose complicate da capire e da fare, ma si tratta semplicemente di tenere fissi gli occhi in Dio per scrutarne la luce e la volontà, e abbandonare a tale luce e a tale volontà tutta la nostra vita. E allora anche il nostro modo di operare, di agire, poco a poco riuscirà a conciliare le esigenze della nostra vita terrena con quelli della nostra vita spirituale. È vero che nel mondo la vita dello spirito non trova facilmente posto; ma è anche vero che nella misura che noi ci lasciamo prendere dal Signore, impareremo da lui come conciliare il nostro totale distacco con la fedeltà ai nostri molteplici doveri; il continuo raccoglimento con l’attenzione alle nostre piccole o grandi responsabilità; il nostro esclusivo amore per lui e la nostra inesauribile dedizione a tutti coloro che ci circondano. Questo lo impareremo non sui libri, attraverso le nozioni, ma attraverso l’intimità col Signore.

 






Agosto

 

La preghiera liturgica

 

La preghiera liturgica, proprio perchè ha origine dal grande sacramento universale che è la Chiesa, ha una connessione con tutti i sacramenti che conferiscono la grazia, ha una sua validità e una sua funzione anche prescindendo dalle condizioni personali dell’individuo. Infatti la preghiera liturgica, come tale, agisce non “ex opere operantis” dell’orante, ma “ex opere operantis” della Chiesa; quella Chiesa che è santa, viva, feconda, anche se io personalmente sono un poco di buono. Ed è per questo che la preghiera liturgica, asceticamente parlando, ha una sua funzione di nutrimento per la preghiera personale ... nella misura in cui la mia preghiera personale è profonda, vivifica ed intensifica la mia preghiera liturgica. La preghiera personale e quella liturgica sono intimamente connesse: non esiste nessuna preghiera del cristiano così personale che non abbia una risonanza ecclesiale nel Corpo mistico, e non esiste nessuna preghiera liturgica così impersonale che non abbia una risonanza nell’individuo.












Settembre

 

Bellezza della preghiera vocale, ripetuta

 

Quando un bambino balbetta, sembra che non dica niente, ma attraverso il suo balbettio la mamma capisce molte cose. Quando durante la giornata siamo tirati un po’ di qua e un po’ di là, anche noi possiamo benissimo balbettare qualcosa; per lo meno avremo aperto le nostre labbra, che dicono tante parole inutili, per dire queste parole che sono sempre una lode. Se poi al movimento delle lebbra posiamo accompagnare il nostro pensiero, i nostri sentimenti, tanto meglio; ma alle volte può capitare benissimo che non ce la facciamo. E allora, pazienza! Offriremo alla Madonna questo rosario detto così... ciò va detto per tutte le preghiere vocali, soprattutto per quelle a carattere litanico: il Pater noster, le litanie, i rosari che oggi sono tanto disprezzati. Dicono: che cosa significa dire una sfilza di Ave Maria e di Pater noster? Che cosa significa? Significa chiamare il buon Dio col suo nome e invocare Maria la piena di grazia, il che non è poco. E’ vero che la nostra intelligenza, può essere un po’ stufa di ripetere sempre le stesse parole, ma questo è tutto amor proprio, è tutta vanità, orgoglio e nient’altro. Dobbiamo proprio far tesoro delle preghiere vocali; con esse c’è il vantaggio che quelle parole formulate sempre con le stesse sillabe, ci lasciano maggiore libertà per il raccoglimento interiore. E poi, è tanto necessario un po’ di semplicità nella vita spirituale. Quanti attimi vuoti abbiamo nella nostra giornata, in cui non possiamo far niente altro che dire un Pater o un’Ave Maria! Se li sapessimo sfruttare tutti, arriveremmo alla fine della giornata che ne avremmo detti chissà quanti!





















Ottobre   (Maria madre e maestra)

 

Imparare dalla Madonna

 

Potremmo pensare che Maria diventata madre di Gesù, avrebbe dovuto perdersi in una specie di estasi ed aspettare gli eventi; invece il Vangelo ce la mostra come spinta dalla grandezza dei suoi privilegi e del mistero che porta con sè ad essere tra gli uomini. Eccola che va a far visita ad una sua parente, anche leid epositaria di misteri che si riallacciano ai suoi. Com’è bello vedere la Madonna che va! Secondo noi sarebbe dovuto accadere il contrario: la Madonna, la madre di Dio avrebbe dovuto aspettare di essere visitata. Invece è propri lei a far visita. Il Signore che viene , e di cui Maria è Madre, è il grande visitatore, è lui che viene a visitare in pace il mondo...dobbiamo imparare dalla Madonna a credere, non solo sottoponendo la nostra mente alle verità del Signore, ma soprattutto nutrendo delle verità di Dio tutta la nostra vita, in modo tale che la luce che ci guida non sia terrena ma soprannaturale. Maria è stata colmata di ogni grazia, e ci appare nella luce del Vangelo come colei che riceve la grazia nell’umiltà; questa Madre ci insegna ad essere umili nel ricevere il dono di Dio, poichè il pericolo di insuperbirsi è un pericolo sempre attuale. L’esempio della sua umiltà, esercitata nel colmo di ogni privilegio, è per noi una grande lezione.

 













Novembre    (vita da santi)

 

San Giuseppe servo del Signore

 

Il Signore a san Giuseppe nn ha mai chiesto permessi. Quando, alla fine della “scappatella” del tempio a Gerusalemme, Gesù si lascia ritrovare, la Madonna, che è madre, ha qualcosa da dire al figlio, ma san Giuseppe no. C’è in lui l’accettazione della signoria di Dio attraverso l’umiltà e il silenzio. Il silenzio è il liguaggio degli umili. San Giuseppe entra nella vita della Madonna e in quella di Cristo, Verbo Incarnato, come? Non lo sa, come il Signore ce lo mette! Ne esce come? Quando? Perché? Non lo sa, quando il Signore lo porta via! E’ sconvolgente! Si capisce proprio poco come il Signore abbia fatto le cose in quel modo. Poteva ben aspettare che Gesù fosse qualcuno... invece ha lasciato lì quella povera mamma, con quel povero figliolo... è tutto un mistero! San Giuseppe non ha avuto spiegazioni da Dio, ha dovuto soltanto accettare. Il Signore è entrato nella sua vita con assoluta libertà, senza preoccupazioni, da Signore, e questo vuol dire che sapeva di poterlof are, perché trovava in san Giuseppe le disposizioni necesarie. Così ha potuto signoreggiare nella vita di lui con assoluta libertà, al di là di tutti i limiti e di ogni convenienza, è cosa sua. Il commento a questa signoria di dio nella vita di san Giuseppe è il suo silenzio e la sua umiltà. Ciò è tanto più da ammirarsi quanto più pensiamo che per san Giuseppe questo lasciar fare al Signore in tal modo non era confortato da fatti visibili. La Madonna ha fatto in tempo a vedere qualcosa: ha visto almeno dei miracoli, premio della sua fede e del suo abbandono. San Giuseppe no. Il Signore nel suo venire al mondo, ha domandato a san Giuseppe di starsene un po’ quieto, di lasciarlo fare e di non ingombrargli la strada. È meraviglioso vedere come san Giuseppe entra nella vita di Gesù benedetto e della sua santissima Madre, quando Dio vuole, come Dio vuole; scompare quando Dio vuole, come Dio vuole; e nella storia della Chiesa fa la stessa figura. Sono le ore di Dio che contano per lui, non le sue! ! !

San Giuseppe ci insegna la devozione , il servizio al Signore Gesù e alla sua Mamma Maria. Abbiamo tanto bisogno di tradurre la nostra devozione ins ervizio, operosità, dove, invece di cercare il nostro tornaconto, cerchiamo soltanto il compimento dei disegni di Dio e della sua gloria. E facendo così, diventiamo i collaboratori del Signore, diventiamo veramente gli strumenti nelle mani di Dio per l’avvento del suo regno.

 





 




Dicembre

 

Adorare la misericorcdia di Dio

 

Spesso noi abbiamo una  nozione fragile, indebolita, dolciastra della misericordia di Dio, come se essa fosse una specie di tenerezza più o meno sentimentale. Invece no. Bisogna mettersi ai piedi di Gesù crocifisso, adorando, per renderci conto che cosa sia la misericordia di Dio; esa è ben altra cosa da quella facilità a commuoverci sulle pene altrui. Il dono della misericordia di Dio è gigantesco, c’è impegnata tutta l’onnipotenza di Dio, tutta la sua ricchezza e soprattutto tutta la sua eterna e infinita volontà di perdono e di grazia. Volontà di Dio! Questa volontà che noi tante volte adoriamo tremando è la radice e la sorgente della misericordia. Ebbene tale volontà misericordiosa travolge il Figlio di Dio il quale ne diventa la vittima: “Così Dio ha amato il mondo, fino a dare per esso il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Oh, grandezza della misericordia del Signore! Gesù, alla misericordia del Padre offre la sostanza della sua figliolanza divina attraverso l’assunzione della natura umana, e diventa il sacramento della misericordia del Padre. Viene come marcato dalla misericordia del Padre e la sua vita stilla la rugiada di un sangue che purifica, redime e salva. Adoriamo la misericordia di Dio; adoriamola per la sua grandiosità, per la sua forza per la sua immensità: è opera di Dio, è Dio stesso che irrompe nella vita di noi povere creature condannate, per ricondurci alla libertà e alla salvezza di figli suoi.

 

 
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