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Conversioni celebri - i Maritain - Verso una nuova filosofia
Indice
Conversioni celebri - i Maritain
lavoro e amicizie
La loro conversione: l'orto botanico
La loro conversione: l'incontro con Léon Bloy
il loro battesimo
Verso una nuova filosofia
L'anima mistica di Raissa
la loro morte
conclusioni
Tutte le pagine

 

 

 

 

 

 

 

 

 La restituzione della ragione

 

“Vedo nel diario di Jacques che, soltanto un mese dopo il nostro arrivo a Heidelberg  (ndr- fine agosto 1905), noi che avevamo creduto di dover rinunciare alla filosofia, cominciavamo già a vedere la possibilità di una “restituzione della ragione, di cui la metafisica è l’operazione essenziale e più alta… Ora sappiamo bene ciò che vogliamo, scrive, ed è esattamente di filosofare”. Ma questa – continua Raissa – non è che una fuggitiva scintilla. Jacques si interessava di biologia (ndr. dopo aver ottenuto già la laurea in filosofia), studiavamo le Sacre Scritture, leggevamo la liturgia di ogni giorno, secondo il consiglio del nostro padrino, le vite dei santi e gli scritti dei mistici

                                                     * * *

I genitori tanto di Raissa quanto di Jacques non compresero la loro conversione e ne furono profondamente addolorati. A entrambe le famiglie la loro sembrava più che una conversione un vero e proprio tradimento. Per la famiglia ebrea di Raissa un tradimento del loro popolo, per lo spirito protestante della madre di Jacques sembrò tradimento dell’ideale della liberazione degli uomini. Quest’ultima contava sull’amicizia tra Péguy e Jacques, per distruggere ciò che aveva ordito Bloy, ma Peguy quando Jacques gli raccontò la loro conversione gridò: “anch’io sono a questo punto!”…

Il 6 luglio 1907 furono cresimati a Grenoble, dopo un ritiro sulla montagna di La Salette, presso il santuario delle apparizioni mariane, la Vergine piangente.

Rissa si trova a fare questo commento: “…Una grazia almeno ci è stata data, quella di incontrare, tra tanti peccatori nostri fratelli, molti veri santi che sono stati il nostro conforto e la nostra consolazione nelle vie difficili che furono talvolta le nostre."

Dopo un anno di preghiera per ottenere da Dio la grazia della direzione spirituale, si recarono a Versailles in cerca del p. Clérissac, domenicano. Ricordando questo momento Raissa scrive:

“pensavamo commossi ai  nostri primi passi verso la Chiesa, quando tre anni prima salivamo i gradini di Montmartre, ….compivamo ora il nostro primo passo importante non più verso la Chiesa, ma nel seno stesso della Chiesa, di cui eravamo da due anni i figli solitari e mendicanti; mendicanti di cielo, di verità, di pace…  Ora lo sentivamo, il nostro tempo di solitudine stava per finire e dovevamo incominciare ad imparare a vivere nel mondo senza conformarci al mondo…. Il p. Clerissac amava la verità, amava l’intelligenza. Quante volte l’abbiamo (poi) sentito dirci: “La vita cristiana è la base dell’intelligenza…. Prima di tutto Dio è la Verità; andate verso di lui, amatelo sotto questo aspetto”. Pensava come sant’Agostino che la beatitudine eterna è la gioia della verità (gaudium de veritate).”

Il p. Clerissac ebbe anche la consolazione di essere testimone della morte cristiana di Oscar Wilde, egli era infatti presente  quando il padre passionista Dunn diede al morente O.W il battesimo e l’estrema unzione.

Sotto la guida di questo domenicano comincia per i Maritain la lettura della Summa teologica di San Tommaso d’Aquino. Così commenterà Raissa:

“lasciati provvisoriamente alle nostre spalle i filosofi, … e avendo fatta tabula rasa delle loro filosofie … era delizioso vivere lontano dalle loro dispute, e lasciare un poco alla volta che la nostra ragione umana si ristabilisse, si reintegrasse al sole delle verità eterne…

“sentivamo che stabilire la ragione nella fede, innestarla sull’albero di Jesse era non indebolirla ma fortificarla, non asservirla ma liberarla, non snaturarla ma ricondurla alla purezza della sua propria natura; come illuminare colui che avanza a tentoni e che cammina nelle tenebre non è condurlo fuori della propria strada, ma fargli vedere la via dove si propone di camminare

“L’atteggiamento del nostro spirito restava più filosofico che teologico

“Il teologo possiede i principi della sua scienza nelle verità divinamente rivelate partendo dalle quali egli procede per l’approfondimento dei misteri attraverso vie razionali, tributarie esse stesse di qualche filosofia. Al contrario il filosofo trova i suoi principi stessi nell’ordine dell’intelligenza e della ragione. In quest’ordine puramente naturale egli ragiona o sragiona a suo piacere. Nell’epoca di cui qui si tratta (ndr. Ma è ancora la nostra oggi!), si era in generale allo sragionamento, perché attraverso la negazione idealista dei legami ontologici dell’intelligenza all’essere e all’esistenza si esaltava all’infinito una conoscenza di cui si aveva in realtà rovinata la natura e la validità. Bergson  vi portava in parte un rimedio dando all’intuizione ciò che si era tolto all’intelligenza.

“E furono queste verità filosofiche che ci apparvero da principio con grande luce nella Summa Teologica, enunciate o sottintese, presenti dappertutto… Ora Aristotele si imponeva nella sua grandezza, prendeva il suo vero volto, in grazia di un teologo ispirato.

“Fu tremando di curiosità e di timore che aprii per la prima volta la Summa Theologica.. la Scolastica non era, secondo la reputazione corrente, un sepolcro di sottigliezze cadute nella polvere? E il principe della Scolastica non stava per gettare un poco di questa polvere sulla fiamma della nostra giovane fede? Dalle prime pagine compresi la vanità e la puerilità delle mie apprensioni. Tutto qui era libertà dello spirito, purezza della fede, integrità dell’intelletto illuminato dalla scienza e dal genio.

“La serenità dello stile in apparenza impersonale, il cammino tranquillo della ragione che dava ad ogni parola il suo senso più vicino all’intuizione intellettuale da cui nacque, e perciò stesso la pienezza del suo significato, una potenza spirituale quasi angelica, che permette a san Tommaso di contenere nelle proposizioni più brevi delle verità senza numero che si incatenano le une alle altre secondo la stessa gerarchia degli esseri reali, e con incessanti ringraziamenti continuai la mia lettura…”

Jacques Maritain       si sarebbe applicato agli stessi studi: Aristotele e san Tommaso, solo un anno più tardi e così scrive Raissa:

“Ma più tardi non ero io che avrei dovuto applicarmici, ma Jacques , filosofo per vocazione. Jacques non doveva affrontare lo studio di Aristotele e di san Tommaso che circa un anno più tardi. In qual maniera egli comprese i loro principi e come condusse la propria opera filosofica appare da tutte le sue opere…il mio grande privilegio fu di ricevere senza alcun merito e senza alcuna fatica, da una mano così cara, i frutti spirituali della sua fatica, ai quali non potevo attingere senza il suo aiuto, ed ai quali tuttavia aspiravo con un desiderio profondo e vitale. Sono stata esaudita in questa maniera; ho vissuto in un’atmosfera di rigore intellettuale e di dirittura spirituale grazie a san  Tommaso d’Aquino, grazie a Jacques e non posso più scrivere queste cose senza piangere di confusione e d’amore.

 

Scrive su di loro Pietro Viotto

Raissa e Jacques sono “la testimonianza di una spiritualità che manifesta come l’amore umano e l’amore divino, l’impegno culturale e l’ansia per l’apostolato possono convivere nell’esperienza di anime assetate di Assoluto in una reciprocità di intenti e di comprensione affettuosa…. Non c’è pagina che Jacques abbia scritto che prima Raissa non abbia ascoltato e discusso, come annota Jacques  nel 1963 ricordando le inquietudini e la sofferenza di Raissa:  “A dominare tutto il resto c’era poi la sua preoccupazione per il mio lavoro filosofico, e per la specie di perfezione che ne aspettava. A questo lavoro Raissa ha sacrificato tutto…”,

In questa collaborazione continua a Raissa spetta il primato della contemplazione e della poesia, a Jacques quello dell’azione e della filosofia. I Maritain non hanno elaborato la loro filosofia estetica attraverso delle deduzioni logiche, ma dal vivo della frequentazione degli artisti, con i quali convivevano e sui quali ebbero un’influenza profonda. Il loro lavoro filosofico consisteva secondo le stesse parole di Jacques: “nell’attaccare il diavolo sul suo stesso terreno. Si trattava di sloggiare dalle loro posizioni quelli che san Paolo chiama principati e potestà, e contro i quali si dice che il cristiano deve lottare più che contro le creature fatte di carne e sangue. Raissa, sospettava tutto questo. Capisco meglio adesso perché ha dovuto tanto soffrire. Era lei che portava il peso maggiore del combattimento, nelle profondità invisibili della sua preghiera e della sua oblazione”.

E Viotto ci fa così teneramente riflettere: Jacques e  Raissa Maritain si sono santificati non malgrado il loro matrimonio ma attraverso il loro matrimonio, anche quando a un certo momento della loro vita coniugale hanno liberamente fatto voto di castità. Jacques ha scritto nel 1963 una lunga nota su Amore e amicizia… nella quale distingue l’amore di cupidigia e l’amore di dilezione fino a trasfigurare nell’amore folle per Dio l’amore coniugale. In questa prospettiva religiosa il coniuge ama ancora l’altro coniuge, ma non più per se stesso, bensì nell’amore di carità che tutto comprende, il desiderio come il possesso, la gioia come il dolore, l’amicizia come l’amore, perché gli sposi cristiani sono tutt’uno nel sacramento che li unisce a Dio. Non si tratta di negare l’amore romantico, l’amore umano, ma di evitare che decada nell’amore di cupidigia per elevarsi nell’amore d’amicizia.

Jacques così descrive la sua sposa:

“Bontà , purezza, Raissa va sempre fino in fondo nelle sue azioni, con un’intenzione ben dritta e una volontà integra: il suo coraggio è senza calcolo e la sua pietà senza difesa. Dove non c’è bellezza ella si sente soffocare, non può vivere. Raissa è sempre vissuta per la verità, non ha mai resistito alla  verità. Il suo spirito non ha mai fatto una grinza e il suo dolore non è stato mai mentito. Ella dona tutto, senza tenere nulla per sé; per il suo cuore come per il suo intelletto è la realtà essenziale che importa: nessun elemento accessorio riuscirebbe a farla esitare. Il suo pensiero e la sua natura sono per inclinazione intuitivi; siccome è una creatura tutta interiore, è tutta libera;  la sua ragione si appaga solo con il reale, la sua anima con l’assoluto” (in Maritain: “Ricordi e appunti”).

 

 




 
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