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San Giovanni Paolo II - anno 1999
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Omelie moderne sul Natale




    Santo PAOLO VI - NATALE 1972      

 

“…può e deve nascere una nuova maniera di essere uomini”

Se voi foste poveri figli del mondo che hanno smarrito il sentiero del bene e non sanno come ritornare alla casa di Dio, il Padre egli, se volete, vi prende per mano; anzi, come è figurato nella parabola della pecora perduta, è pronto a prendervi sulle sue spalle e a portarvi di peso nell’ovile della sua giustizia.

Vorrei che voi aveste a comprendere la vostra dignità proprio derivante dal Natale di Cristo. “Egli è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9). Voi siete in prima fila. E  comprendete allora quale conforto, innanzitutto, vi può nascere nel cuore pensando: qualcuno (ed è Cristo) riconosce il rispetto e la giustizia, il diritto che mi sono dovuti. È Cristo. È il maestro, è il liberatore, è il salvatore, ed è mio!

E potete allora comprendere come da questo rapporto fra voi e Cristo, il rapporto che nasce dal suo amore , e che vi associa alla grande famiglia umana amata e salvata da lui, la Chiesa, può e deve nascere una nuova maniera d’essere uomini: diventiamo tutti figli di Dio, tutti fratelli. Non dev’esserci bisogno di fare ricorso all’odio, alla guerra, alla violenza, all’intrigo per instaurare un ordine migliore nella convivenza umana. Cioè nella società. Se davvero Cristo la penetra e la cementa col suo amore, dobbiamo, possiamo sperare che un mondo migliore finalmente nascerà.









SAN GIOVANNI PAOLO II - Natale 1999             

Venerdì, 24 dicembre 1999 dopo apertura della porta santa del grande giubileo dell’anno 2000



1. "Hodie natus est nobis Salvator mundi" (Salmo resp.)

Da venti secoli prorompe dal cuore della Chiesa questo annuncio gioioso. In questa Notte Santa, l'Angelo lo ripete a noi, uomini e donne di fine millennio: "Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia . . . Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore" (Lc 2, 10-11). Ci siamo preparati ad accogliere queste parole consolanti durante il tempo d'Avvento: in esse si attualizza l'"oggi" della nostra redenzione.

In quest'ora, l'"oggi" risuona con un timbro singolare: non è solo il ricordo della nascita del Redentore, è l'inizio solenne del Grande Giubileo. Ci ricolleghiamo spiritualmente a quel singolare momento della storia, nel quale Dio si è fatto uomo, rivestendosi della nostra carne.

Sì, il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio e Luce da Luce, eternamente generato dal Padre, ha preso corpo dalla Vergine ed ha assunto la nostra natura umana. E' nato nel tempo. Dio è entrato nella storia. L'incomparabile "oggi" eterno di Dio si è fatto presenza nelle quotidiane vicende dell'uomo.

2. "Hodie natus est nobis Salvator mundi" (cfr Lc 2, 10-11).

Ci prostriamo dinanzi al Figlio di Dio. Ci uniamo spiritualmente allo stupore di Maria e di Giuseppe. Adorando Cristo, nato in una grotta, facciamo nostra la fede colma di sorpresa dei pastori di allora; sperimentiamo la loro stessa meraviglia e la loro stessa gioia.

E' difficile non arrendersi all'eloquenza di quest'evento: rimaniamo incantati. Siamo testimoni dell'istante dell'amore che unisce l'eterno alla storia: l'"oggi" che apre il tempo del giubilo e della speranza, perché "ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9, 5), come leggiamo nel testo di Isaia.

Ai piedi del Verbo incarnato deponiamo gioie e apprensioni, lacrime e speranze. Solo in Cristo, uomo nuovo, il mistero dell'essere umano trova vera luce.

Con l'apostolo Paolo, meditiamo che a Betlemme "è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini" (Tt 2, 11). Per questa ragione, nella notte di Natale risuonano canti di gioia in ogni angolo della terra ed in tutte le lingue.

3. Questa notte, davanti ai nostri occhi si compie ciò che il Vangelo proclama: "Dio... ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita" (Gv 3, 16).

Il suo Figlio unigenito!

Tu, o Cristo, sei il Figlio unigenito del Dio vivente, venuto nella grotta di Betlemme! Dopo duemila anni, riviviamo questo mistero come un evento unico e irripetibile. Tra tanti figli di uomini, tra tanti bambini venuti al mondo durante questi secoli, soltanto Tu sei il Figlio di Dio: la tua nascita ha cambiato, in modo ineffabile, il corso degli eventi umani.

Ecco la verità che in questa notte la Chiesa vuole trasmettere al terzo millennio. E voi tutti, che verrete dopo di noi, vogliate accogliere questa verità, che ha mutato totalmente la storia. Dalla notte di Betlemme, l'umanità è consapevole che Dio si è fatto Uomo: si è fatto Uomo per rendere l'uomo partecipe della sua natura divina.

4. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! Sulla soglia del terzo millennio, la Chiesa Ti saluta, Figlio di Dio, che sei venuto al mondo per sconfiggere la morte. Sei venuto ad illuminare la vita umana mediante il Vangelo. La Chiesa Ti saluta e insieme con Te vuole entrare nel terzo millennio. Tu sei la nostra speranza. Tu solo hai parole di vita eterna.

Tu, che sei venuto al mondo nella notte di Betlemme, resta con noi!

Tu, che sei la Via, la Verità e la Vita, guidaci!

Tu, che sei venuto dal Padre, portaci a lui nello Spirito Santo, sulla via che soltanto Tu conosci e che ci hai rivelato perché avessimo la vita e l'avessimo in abbondanza.

Tu, Cristo, Figlio del Dio vivente, sii per noi la Porta!

Sii per noi la vera Porta simboleggiata da quella che in questa Notte solennemente abbiamo aperto!

Sii per noi la Porta che ci introduce nel mistero del Padre. Fa' che nessuno resti escluso dal suo abbraccio di misericordia e di pace!

"Hodie natus est nobis Salvator mundi": è Cristo l'unico nostro Salvatore! Questo è il messaggio del Natale 1999: l'"oggi" di questa Notte Santa dà inizio al Grande Giubileo.

Maria, aurora dei tempi nuovi, sii accanto a noi, mentre fiduciosi compiamo i primi passi dell'Anno Giubilare.

Amen!










domenica 24 dicembre 2000 messa di mezzanote    



1. "Oggi è nato per noi il Salvatore" (Rit. Salmo resp.).

Risuona in questa notte, antico e sempre nuovo, l'annuncio del Natale del Signore. Risuona per chi veglia, come i pastori di Betlemme duemila anni or sono; risuona per chi ha seguito il richiamo dell'Avvento e, vigilante nell'attesa, è pronto ad accogliere il lieto messaggio, che nella liturgia si fa canto: "Oggi è nato per noi il Salvatore".

Veglia il popolo cristiano; veglia il mondo intero, in questa notte di Natale che si riallaccia a quella memorabile di un anno fa, quando fu aperta la Porta Santa del Grande Giubileo, Porta della grazia spalancata per tutti.

2. In ogni giorno dell'Anno giubilare è come se la Chiesa non avesse mai cessato di ripetere: "Oggi è nato per noi il Salvatore". Quest'annuncio, che possiede un'inesauribile carica di rinnovamento, riecheggia in questa notte santa con forza singolare: è il Natale del Grande Giubileo, memoria viva dei duemila anni di Cristo, della sua nascita prodigiosa, che ha segnato il nuovo inizio della storia. Oggi "il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).

"Oggi". In questa notte, il tempo si apre all'eterno, perché Tu, o Cristo, sei nato tra noi sorgendo dall'alto. Sei venuto alla luce dal grembo di una Donna tra tutte benedetta, Tu, il "Figlio dell'Altissimo". La tua santità ha santificato una volta per sempre il nostro tempo: i giorni, i secoli, i millenni. Con la tua nascita hai fatto del tempo un "oggi" di salvezza.

3. "Oggi è nato per noi il Salvatore".

Celebriamo in questa notte il mistero di Betlemme, il mistero di una notte singolare che sta, in un certo senso, nel tempo e oltre il tempo. Nel grembo della Vergine è nato un Bambino, una mangiatoia è stata culla per la Vita immortale.

Natale è la festa della vita, perché Tu, Gesù, venendo alla luce come ognuno di noi, hai benedetto l'ora della nascita: un'ora che simbolicamente rappresenta il mistero dell'umana esistenza, unendo il travaglio alla speranza, il dolore alla gioia. Tutto questo è avvenuto a Betlemme: una Madre ha partorito; "è venuto al mondo un uomo" (Gv 16,21), il Figlio dell'uomo. Mistero di Betlemme!

4. Con interiore commozione ripenso ai giorni del mio pellegrinaggio giubilare in Terra Santa. Torno con la mente a quella grotta nella quale mi è stata concessa la grazia di sostare in preghiera. Bacio nello spirito quella terra benedetta in cui è sbocciata per il mondo la gioia imperitura.

Penso con apprensione ai Luoghi santi e, in modo speciale, alla città di Betlemme, dove, purtroppo, a causa della difficile situazione politica, non potranno svolgersi con la consueta solennità i suggestivi riti del Santo Natale. Vorrei che in questa notte quelle comunità cristiane sentissero la piena solidarietà di tutta la Chiesa.

Vi siamo vicini, carissimi Fratelli e Sorelle, con una preghiera particolarmente intensa. Insieme con voi trepidiamo per le sorti dell'intera regione medio-orientale. Voglia il Signore ascoltare la nostra invocazione! Da questa Piazza, centro del mondo cattolico, risuoni ancora una volta con rinnovato vigore l'annuncio degli angeli ai pastori: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2, 14).

Non può vacillare la nostra fiducia, come non può venir meno la meraviglia per quanto stiamo commemorando. Nasce oggi Colui che dona al mondo la pace.

5. "Oggi è nato per noi il Salvatore".

Il Verbo vagisce in una mangiatoia. Si chiama Gesù, che significa "Dio salva", perché "salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).

Non è una reggia quella in cui nasce il Redentore, destinato ad instaurare il Regno eterno e universale. Nasce in una stalla e, venendo fra noi, accende nel mondo il fuoco dell'amore di Dio (cfr Lc 12,49). Questo fuoco non si spegnerà mai più.

Possa questo fuoco ardere nei cuori come fiamma di carità fattiva, che diventi accoglienza e sostegno per tanti fratelli provati dal bisogno e dalla sofferenza!

6. Signore Gesù, che contempliamo nella povertà di Betlemme, rendici testimoni del tuo amore, di quell'amore che Ti ha spinto a spogliarTi della gloria divina, per venire a nascere fra gli uomini e a morire per noi.

Mentre il Grande Giubileo entra nella sua fase finale, infondi in noi il tuo Spirito, perché la grazia dell'Incarnazione susciti in ogni credente l'impegno di una più generosa corrispondenza alla vita nuova ricevuta nel Battesimo.

Fa' che la luce di questa notte più splendente del giorno si proietti sul futuro ed orienti i passi dell'umanità sulla via della pace.

Tu, Principe della pace, Tu Salvatore nato oggi per noi, cammina con la tua Chiesa sulla strada che le si apre dinanzi nel nuovo millennio!


















Santo Giovanni Paolo II



venerdì 24 dicembre 2004 - messa di mezzanotte                       

L’adorazione del Bambino Gesù diventa, in questa Notte Santa, adorazione eucaristica.



1. “Adoro Te devote, latens Deitas”.

In questa Notte, mi risuonano nel cuore le prime parole del celebre Inno eucaristico, che mi accompagna giorno dopo giorno in quest’anno particolarmente dedicato all’Eucaristia.

Nel Figlio della Vergine, “avvolto in fasce” e deposto “in una mangiatoia” (Lc 2,12), riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo” (Gv 6,41.51), il Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo.

2. Betlemme! Nella lingua ebraica la città dove secondo le Scritture nacque Gesù significa “casa del pane”. Là, dunque, doveva nascere il Messia, che avrebbe detto di sé: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35.48).

A Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe lasciato il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino Gesù diventa, in questa Notte Santa, adorazione eucaristica.

3. Adoriamo Te, Signore, realmente presente nel Sacramento dell’altare, Pane vivo che dai vita all’uomo. Ti riconosciamo come nostro unico Dio, fragile Bambino che stai inerme nel presepe! “Nella pienezza dei tempi, ti sei fatto uomo tra gli uomini per unire la fine al principio, cioè l’uomo a Dio” (cfr S. Ireneo, Adv. haer., IV, 20,4) .

Sei nato in questa Notte, nostro divin Redentore, e per noi, viandanti sui sentieri del tempo, ti sei fatto cibo di vita eterna.

Ricordati di noi, eterno Figlio di Dio, che nel grembo verginale di Maria Ti sei incarnato! L’intera umanità, segnata da tante prove e difficoltà, ha bisogno di Te.

Resta con noi, Pane vivo disceso dal Cielo per la nostra salvezza! Resta con noi per sempre. Amen!














PAPA FRANCESCO - Messa di Mezzanotte di sabato 24 dicembre 2016

          "Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia"




«È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Le parole dell’apostolo Paolo rivelano il mistero di questa notte santa: è apparsa la grazia di Dio, il suo regalo gratuito; nel Bambino che ci è donato si fa concreto l’amore di Dio per noi.

È una notte di gloria, quella gloria proclamata dagli angeli a Betlemme e anche da noi in tutto il mondo. È una notte di gioia, perché da oggi e per sempre Dio, l’Eterno, l’Infinito, è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea; è vicino, si è fatto uomo e non si staccherà mai dalla nostra umanità, che ha fatto sua. È una notte di luce: quella luce, profetizzata da Isaia (cfr 9,1), che avrebbe illuminato chi cammina in terra tenebrosa, è apparsa e ha avvolto i pastori di Betlemme (cfr Lc 2,9).

I pastori scoprono semplicemente che «un bambino è nato per noi» (Is 9,5) e comprendono che tutta questa gloria, tutta questa gioia, tutta questa luce si concentrano in un punto solo, in quel segno che l’angelo ha loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre per trovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi. Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.

E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell’imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell’apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita.

Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti. Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi.

Il mistero del Natale, che è luce e gioia, interpella e scuote, perché è nello stesso tempo un mistero di speranza e di tristezza. Porta con sé un sapore di tristezza, in quanto l’amore non è accolto, la vita viene scartata. Così accadde a Giuseppe e Maria, che trovarono le porte chiuse e posero Gesù in una mangiatoia, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7). Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato. Questa mondanità ci ha preso in ostaggio il Natale: bisogna liberarlo!

Ma il Natale ha soprattutto un sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Così c’è un filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori.

L’hanno capito, in quella notte, i pastori, che erano tra gli emarginati di allora. Ma nessuno è emarginato agli occhi di Dio e proprio loro furono gli invitati di Natale. Chi era sicuro di sé, autosufficiente, stava a casa tra le sue cose; i pastori invece «andarono, senza indugio» (cfr Lc 2,16). Anche noi lasciamoci interpellare e convocare stanotte da Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partire da quello in cui ci sentiamo emarginati, a partire dai nostri limiti, a partire dai nostri peccati. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a guardare il presepe, immaginiamo la nascita di Gesù: la luce e la pace, la somma povertà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assaporeremo lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la mia vita. Contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me












PAPA BENEDETTO XVI -
Messa di Mezzanotte, Lunedì 24 dicembre 2012 (Suo ultimo Natale da Pontefice ufficiale)

       "Osare il passo che va oltre"      



Cari fratelli e sorelle!

Sempre di nuovo la bellezza di questo Vangelo tocca il nostro cuore – una bellezza che è splendore della verità. Sempre di nuovo ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo, affinché osiamo amarlo, e, come bambino, si mette fiduciosamente nelle nostre mani. Dio dice quasi: So che il mio splendore ti spaventa, che di fronte alla mia grandezza tu cerchi di affermare te stesso. Ebbene, vengo dunque a te come bambino, perché tu possa accogliermi ed amarmi.

Sempre di nuovo mi tocca anche la parola dell’evangelista, detta quasi di sfuggita, che per loro non c’era posto nell’alloggio. Inevitabilmente sorge la domanda su come andrebbero le cose, se Maria e Giuseppe bussassero alla mia porta. Ci sarebbe posto per loro? E poi ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell’alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla, l’evangelista Giovanni l’ha approfondita e portata all’essenza scrivendo: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi? Ciò comincia col fatto che non abbiamo tempo per Dio. Quanto più velocemente possiamo muoverci, quanto più efficaci diventano gli strumenti che ci fanno risparmiare tempo, tanto meno tempo abbiamo a disposizione. E Dio? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora più in profondità. Dio ha veramente un posto nel nostro pensiero? La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo, non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l’“ipotesi Dio”. Non c’è posto per Lui. Anche nel nostro sentire e volere non c’è lo spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente “riempiti” di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri. A partire dalla semplice parola circa il posto mancante nell’alloggio possiamo renderci conto di quanto ci sia necessaria l’esortazione di san Paolo: “Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare!” (Rm 12,2). Paolo parla del rinnovamento, del dischiudere il nostro intelletto (nous); parla, in generale, del modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. La conversione di cui abbiamo bisogno deve giungere veramente fino alle profondità del nostro rapporto con la realtà. Preghiamo il Signore affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei uno spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo.

C’è ancora una seconda parola nel racconto di Natale sulla quale vorrei riflettere insieme a voi: l’inno di lode che gli angeli intonano dopo il messaggio circa il neonato Salvatore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento”. Dio è glorioso. Dio è luce pura, splendore della verità e dell’amore. Egli è buono. È il vero bene, il bene per eccellenza. Gli angeli che lo circondano trasmettono in primo luogo semplicemente la gioia per la percezione della gloria di Dio. Il loro canto è un’irradiazione della gioia che li riempie. Nelle loro parole sentiamo, per così dire, qualcosa dei suoni melodiosi del cielo. Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c’è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell’amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.

Con la gloria di Dio nel più alto dei cieli è in relazione la pace sulla terra tra gli uomini. Dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Oggi, però, diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel mondo; occorrerebbe prima liberare l’umanità dalle religioni, affinché si crei poi la pace; il monoteismo, la fede nell’unico Dio, sarebbe prepotenza, causa di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti con la pretesa dell’unica verità. È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole. Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare.

Così Cristo è la nostra pace e ha annunciato la pace ai lontani e ai vicini (cfr Ef 2,14.17). Come non dovremmo noi pregarlo in quest’ora: Sì, Signore, annuncia a noi anche oggi la pace, ai lontani e ai vicini. Fa’ che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti. Illumina le persone che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome, affinché imparino a capire l’assurdità della violenza e a riconoscere il tuo vero volto. Aiutaci a diventare uomini “del tuo compiacimento” – uomini secondo la tua immagine e così uomini di pace.

Appena gli angeli si furono allontanati, i pastori dicevano l’un l’altro: Orsù, passiamo di là, a Betlemme e vediamo questa parola che è accaduta per noi (cfr Lc 2,15). I pastori si affrettavano nel loro cammino verso Betlemme, ci dice l’evangelista (cfr 2,16). Una santa curiosità li spingeva a vedere in una mangiatoia questo bambino, del quale l’angelo aveva detto che era il Salvatore, il Cristo, il Signore. La grande gioia, di cui l’angelo aveva parlato, aveva toccato il loro cuore e metteva loro le ali.

Andiamo di là, a Betlemme, dice la liturgia della Chiesa oggi a noi. Trans-eamus traduce la Bibbia latina: “attraversare”, andare di là, osare il passo che va oltre, la “traversata”, con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo meramente materiale per giungere all’essenziale, al di là, verso quel Dio che, da parte sua, è venuto di qua, verso di noi. Vogliamo pregare il Signore, perché ci doni la capacità di oltrepassare i nostri limiti, il nostro mondo; perché ci aiuti a incontrarlo, specialmente nel momento in cui Egli stesso, nella Santissima Eucaristia, si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore.

Andiamo di là, a Betlemme: con queste parole che, insieme con i pastori, ci diciamo l’un l’altro, non dobbiamo pensare soltanto alla grande traversata verso il Dio vivente, ma anche alla città concreta di Betlemme, a tutti i luoghi in cui il Signore ha vissuto, operato e sofferto. Preghiamo in quest’ora per le persone che oggi lì vivono e soffrono. Preghiamo perché lì ci sia pace. Preghiamo perché Israeliani e Palestinesi possano sviluppare la loro vita nella pace dell’unico Dio e nella libertà. Preghiamo anche per i Paesi circostanti, per il Libano, per la Siria, per l’Iraq e così via: affinché lì si affermi la pace. Che i cristiani in quei Paesi dove la nostra fede ha avuto origine possano conservare la loro dimora; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace di Dio.

I pastori si affrettavano. Una santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più importante, l’Unico che, in ultima analisi, è veramente importante. Perché non dovremmo essere presi anche noi dalla curiosità di vedere più da vicino e di conoscere ciò che Dio ci ha detto? Preghiamolo affinché la santa curiosità e la santa gioia dei pastori tocchino in quest’ora anche noi, e andiamo quindi con gioia di là, a Betlemme – verso il Signore che anche oggi viene nuovamente verso di noi. Amen.












 
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