 Alessandro Manzoni Qual masso che dal vertice di lunga erta montana, abbandonato all'impeto di rumorosa frana, per lo scheggiato calle precipitando a valle, batte sul fondo e sta; Là dove cadde, immobile giace in sua lenta mole; nè per mutar di secoli, fin che riveda il sole della sua cima antica, se una virtude amica in alto non trarrà: Tal si giaceva il misero figliol del fallo primo dal dì che un'ineffabile ira promessa all'imo d'ogni malor gravollo, donde il superbo collo più non potea levar. Qual mai tra i nati all'odio, quale era mai persona che al Santo inaccessibile potesse dir: perdona? Far novo patto eterno? Al vincitore inferno la preda sua strappar? Ecco ci è nato un Pargolo, ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano al mover del suo ciglio: all'uom la mano Ei porge, che si ravviva, e sorge oltre l'antico onor.
Dalle magioni eteree sgorga una fonte, e scende, e nel borron de' triboli vivida si distende: stillano mèle i tronchi; Dove copriano i bronchi, ivi germoglia il fior O Figlio, o Tu cui genera L'Eterno, eterno seco; qual ti può dir de' secoli: Tu cominciasti meco? Tu sei: del vasto empiro non ti comprende il giro: La tua parola il fe', E Tu degnasti assumere questa creata argilla? Qual merto suo, qual grazia a tanto onor sortilla? Se in suo consiglio ascoso vince il perdon , pietoso immensamente Egli è. Oggi, Egli è nato: ad Efrata, vaticinato ostello, ascese un'alma Vergine, la gloria d'Israello, Grave di tal portato: da cui promise è nato donde era atteso uscì. La mira madre in poveri panni il Figliol compose, e nell'umil presepio soavemente il pose; e l'adora: beata! Innanzi al Dio prostrata, che il puro sen le aprì. L'angel del cielo, agli uomini nunzio di tanta sorte, non de' potenti volgersi alle vegliate porte; ma tra i pastor devoti, al duro mondo ignoti, subito in luce appar.
E intorno a lui per l'ampia notte calati a stuolo, mille celesti strinsero il fiammeggiante volo; e accesi in dolce zelo, come si canta in cielo, a Dio gloria cantar. L'allegro inno seguirono, tornando al firmamento: tra le varcate nuvole allontanossi, e lento il suon sacrato ascese, fin che più nulla intese la compagnia fedel. Senza indugiar , cercarono l'albergo poveretto que' fortunati, e videro siccome a lor fu detto, videro in panni avvolto, in un presepe accolto, vagir il Re del Ciel. Dormi o Fanciul; non piangere; dormi o Fanciul celeste: sovra il tuo capo stridere non osin le tempeste, use sull'empia terra, come cavalli in guerra, correr davanti a Te. Dormi, o Celeste: i popoli chi nato sia non sanno; ma il dì verrà che nobile retaggio tuo saranno; che in quell'umil riposo, che nella polve ascoso, Conosceranno il Re.
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