n. 883
Articolo
P. Luiz Carlos de Oliveira
Redentorista
738 Portare le piaghe di Cristo (Gal. 6,17)
Ci domandiamo sempre il senso del dolore, della sofferenza e della morte. Rimaniamo sconcertati davanti alla sofferenza dei bambini e delle persone buone. Mentre vediamo persone cattive che godono ottima salute. E questo ci dà molto fastidio. Non possiamo dire che Dio manda la sofferenza. Dio certamente vuole che nessuno soffra. Dio non scarica i nostri peccati sul nostro corpo. Dio ci ama. Il dolore, la morte, la sofferenza da dove vengono? Vengono da noi stessi o sono provocati dagli altri a causa delle nostre scelte. Per questo diciamo che sono il frutto del peccato. Se io lascio attuare le cattive inclinazioni, provoco il male che ha il suo prezzo (1 Tim 6,10). Se guardiamo con la fede cristiana, la sofferenza però acquista senso, perché Cristo ha sofferto i nostri stessi mali (Eb 4,15), ed anche peggiori nei dolori della Passione. Egli ha assunto i nostri dolori e per le sue piaghe siamo stati guariti (1 Pt 2,24). Cristo non aveva peccato, ma si caricò dei nostri peccati (1 Pt 2,24), si è fatto peccato (2 Cor 5,21), e ciò vuol dire che egli ha assunto tutto il peccato del mondo (1 Pt 2,24) ed ha redento l’umanità annullando nella croce il decreto di condanna che era destinato a noi (Cl 2,14). La sofferenza viene dalla nostra fragilità. La nostra natura è fragile contraddistinta dalla insufficienza. Ma è di fondamentale importanza unire la nostra sofferenza a quella di Cristo affinché anch’essa diventi strumento di redenzione. La sofferenza del cristiano deve essere vista nella sua condizione umana, ed anche come partecipazione al Mistero Pasquale di Cristo che è la Passione, Morte e Risurrezione.
739 Ero malato (Mt 25,36)
Il dolore è sempre presente nella nostra vita. Esso mostra la fragilità dell’essere umano. Desideriamo vivere senza problemi e in maniera perfetta. Non succede mai. La natura umana è fragile. Grazie a Dio e alle evoluzioni scientifiche abbiamo migliori condizioni e mezzi per superare molte nostre sofferenze. Un giorno passeremo da esse. Quando non sono i dolori fisici, sono quelli psicologici o anche spirituali. Ma quello che ci interessa è di contemplare il dolore dentro la visione della fede cristiana. Non è il castigo per il male. Questo non fa parte della fede. Abbiamo invece bisogno di una risorsa, di organizzare mezzi di soccorso per gli altri e creare ambienti nella comunità dove far posto per i sofferenti. Questo è un buon rimedio. Serve alla nostra santificazione quando soffriamo uniti a Gesù. Così, sì, la sofferenza diventa redentrice. E stà nella volontà di Dio. Anche nel dolore stare unito a Dio.
740. Con lui moriamo e risorgiamo (Rm 6,8)
Abbiamo una certezza: moriremo! La morte fa parte della vita. Più lo comprendiamo e più vogliamo vivere intensamente. Però, più mettiamo la morte nella nostra vita, più avremo la vita nella morte. Ciò vuol dire che il fine della nostra vita deve orientare ciò che facciamo. Leggiamo nell’Ecclesiastico: “ Pensa alla tua fine e non peccherai” (7,36). Questo è vita. La morte ci stimola a vivere bene la nostra vita perché questa continua dopo la morte. Se invece viviamo male, non costruiamo la Vita. E la vita sarà sempre una sorpresa. Essere preparati a vivere bene. E vivere bene è garanzia dell’incontro con il Padre. Questi argomenti sono difficili ed esigono una fede matura e una vita unita a Cristo. Gesù si è preoccupato dei sofferenti, li ha consolati, ha pianto i morti e li ha risuscitati. Ed è questo che fa con noi.