La vigilanza insegna a vivere
coltivando la carità.
Vincere il mondo significa mutare l’egoismo in
donazione
e l’avidità in condivisione
nº
1180
Omelia
33^ Dom. T.O.
18.11.2012
Pe.
Luiz Carlos de Oliveira
Redentorista
Imparare
a vivere
Alla fine dell’Anno Liturgico e all’inizio
del nuovo, ascoltiamo le parole di Gesù riguardo la vigilanza. Egli non vuole
dare spettacolo con profezie sulla fine del mondo. Ma usa un genere letterario chiamato
apocalittico. Il popolo lo capiva. Invece, oggi, le persone leggono tali minacce come un presagio. Egli
parla del bellissimo tempo della raccolta dove i frutti del Regno giungono a
maturazione. Le prime generazioni cristiane aspettavano la venuta di Cristo
come se si sarebbe dovuta verificare nel corso della loro vita, come leggiamo
in S. Paolo quando parla della risurrezione: “Coloro che resteranno vivi
saranno elevati in aria...” (1 Ts 4,17). Riconoscere i segni dei tempi è vedere
che il Regno si incardina e dà frutti. Riconosciamo la venuta del Regno dai
buoni frutti che produce in mezzo a noi.
La sua forza è presente ed è come un seme, come leggiamo nella parabola del piccolissimo
chicco di senape che cresce. La sua crescita è silenziosa. Il Regno non si
identifica con il nostro modo di pensare, esso è una forza trasformatrice e non
una società uguale alle altre. Questo è certo e dobbiamo crederlo. Anche se i
cristiani si riducessero a un gruppetto insignificante, se essi resteranno a
servizio del mondo, il Regno di Dio è presente e continuerà a realizzare la sua
missione. Paolo VI diceva queste parole. Non misuriamo la forza dal numero, ma
dalla densità della vita. Più che la sua venuta in un giorno futuro, è la sua
venuta permanente in mezzo a noi che dobbiamo vedere. S. Agostino diceva “Ho
paura di Gesù che passa” e io non io non me ne accorga. Con la liturgia rendiamo presente Gesù, Egli
stesso disse: “Tutte le volte che mangerete di questo pane e berrete di questo
calice annunciate la morte del Signore fino a che Egli venga” (1 Cor 11, 26)
Metterà
tutti i nemici sotto i suoi piedi
La lettera agli Ebrei ci spiega che
Gesù “avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre
alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello
dei suoi piedi” (Eb 10, 12-13). La grandiosa vittoria di Cristo è il suo
sacrificio di consegna totale al Padre che lo ha risuscitato dopo la sua morte
di croce. Mettere sotto i piedi non significa una oppressione, ma una presenza
trasformatrice. Questo è la vigilanza che Gesù ci insegna a offrire. Essere attenti
alla venuta gloriosa di Gesù non è temere la sua presenza. Essere vigilanti è
vivere come ci ha insegnato, coltivando la carità fruttuosa. Manca poco,
continuare ad aspettare. Quanto Egli verrà che ci trovi occupati nel suo
Regno. Egli si rende presente quando
impiantiamo il Suo Regno nel mondo. Da un Dio che condanna, passiamo a un Dio
amore che viene all’incontro dei suoi figli, per portarli a vivere la sua
gioia: “Entra a far parte della gioia del tuo Signore” (Mt 25,31).
La
grazia di servire il Signore
Partecipare alla vittoria di Cristo
e sottomettere il nemico ai suoi piedi è vivere con lo stesso amore con il quale Egli ha
assunto la Sua vita. La vittoria sul mondo è cambiare l’egoismo in donazione e l’avidità
in condivisione di vita e di dono , infondendo speranza nei cuori. E’ crescere
nella carità come ci insegna la preghiera del dopo-Comunione. In ogni
Eucaristia Egli si rende presente come “Colui che Viene”, per questo diciamo: “Vieni,
Signore Gesù!”. Il mondo non terminerà con una condanna dell’Universo, ma con
la restaurazione della creazione e dell’essere umano come ci ha lasciato scritto Daniele: “ Coloro che
avranno insegnato agli uomini il cammino della virtù, brilleranno come stelle
per tutta l’eternità” (Dn 12,3).
Letture: Dn. 12, 1-3; S. 15; Eb.
10, 11-14.18;
Vangelo di Marco 13, 24-32