nº 2011
Omelia commemorazione dei fedeli defunti
2.11.2020
Pe. Luiz Carlos de Oliveira
Redentorista
Pienezza d’Amore
Fedeli nell’amore
Il culto ai morti fa parte delle religioni. Tanto più è primitivo più profondo esso è. Perchè? Credo che la vita continua. Nei villaggi all’interno di un paese, il cui nome ora non lo ricordo, credevano che i morti vivessero sui crinali delle case. Questa credenza portò a creare riti funebri. Anche noi, occidentali, sviluppati e colti, non abbiamo problemi a portare fiori ai defunti, rendere belle le tombe, erigere statue, conservare i loro nomi alle strade, alle città ecc. I romani avevano molto rispetto per i tumoli e facevano i “refrigeiros”, cioè dei pasti sul tumulo dei morti come se questi vi partecipassero. La Chiesa non lo ammetteva per i cristiani, ma Santa Monica aveva l’abitudine di partecipare. Noi crediamo che la vita continua e che la stessa persona esiste ora nella dimensione spirituale. Disfatta questa carne, ci è dato un corpo spirituale. Santa Monica chiese che non si preoccupassero dove seppellirla, ma che si ricordassero di lei nell’altare della celebrazione: “Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore" (Confessioni, Libro 9,10-11). Continuiamo nella forza dell’amore che supera la propria morte. Preghiamo: “Ai tuoi fedeli, o Signore,la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” (Prefazio). L’amore a coloro che furono rimane con la certezza della comunione spirituale in Cristo. Noi pensiamo il mondo futuro con le nostre categorie, come se fosse la vita in terra. Non organizziamo la vita dei defunti. La Chiesa ha nel Vangelo la dottrina sulla vita eterna.
Dal fondo del pozzo
Crediamo alla risurrezione dei morti. Ma non sappiamo come avverrà. Viviamo la vita presente nella condizione di mortalità con tutto quello che questo comporta. La vita umana è molto fragile, nonostante tutta la ricchezza che possediamo. La sensazione di finitudine è sempre presente. Fragilità non vuole dire inutilità o mancanza di condizioni. Essere fragile è un cammino aperto alla crescita e alla fortezza. Le conseguenze del peccato ci spaventano. I salmi ritraggono la condizione umana e le possibilità che Dio ci offre: “Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica” (S 129). Ma rimane la fiducia: “E’ in te la mia speranza” (S 129). La morte e tutte le difficoltà non sono la nostra fine. Dal fondo del pozzo possiamo lanciare gli occhi verso l’alto dove sta Colui che è la nostra luce e protezione, amore di Padre e bontà (sl 26). Egli è il Padre e noi siamo di fatto suoi figli (1 Gv 3,1). Nel fondo di questo pozzo possiamo ricordare la meta fondamentale della missione di Gesù: “Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha inviato: che Io non perda nessuno di coloro che Egli mi ha dato, ma li resusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6, 38-39). Ogni angustia che abbiamo davanti alla morte deve essere affrontata con le promesse di Gesù. É questo che ci tira dal fondo del pozzo.
Vita che rimane
Nella celebrazione dei defunti non possiamo fermarci a una tomba fredda piena di ossa rinsecchite. La Vita rimane. Lasciamo il guscio e andiamo all’essenziale che è la vita che rimane. Da questa vita passiamo alla vita eterna, perpetua, senza ritorno. Vincendo ogni peccato potremo creare già i cieli nuovi e la terra nuova. La grazia di Dio è permanente e non si dissolve per i nostri peccati, poichè essa è di Dio. Spetta a noi continuare a credere e a vivere cristianamente. Passato il momento doloroso della separazione, continuiamo ad essere uniti a coloro che ci hanno preceduto, segnati dal sigillo della fede. Essa più che premio è missione.
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