Il linguaggio dell’Apocalisse è molto
forte. Esso ci fa capire che noi formiamo la comunità di coloro che ascoltano
il Pastore e che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello, passando
per le stesse sofferenze di Cristo.
nº
1224
Omelia 4^ Domenica di Pasqua
(21.04.13)
Pe. Luiz Carlos de Oliveira
Redentorista
Conosco le mie
pecore ed esse mi seguono
Condurre alla fonte
delle acque
Il Tempo di Pasqua ci
introduce negli isegnamenti e nella Vita di Cristo. È il momento di accogliere
i frutti della Risurrezione. Non solo ricordiamo l’avvenimento del passaggio di
Cristo dalla morte alla Vita, ma anche la nostra risurrezione con la
Sua. La liturgia ci svela le ricchezze
donate da Gesù. Egli non è un semplice morto
che è tornato in vita, ma il Risorto che è il Signore, uno con il Padre
e Pastore del Suo popolo. Dal suo costato aperto uscirono sangue e acqua.
Queste acque della Vita sgorgate dal suo cuore sono la meta di tutti coloro che
credono. È per quest’acqua che Lui ci conduce. Le acque simboleggiano la Vita di Dio nella quale
viviamo. Nelle preghiere della celebrazione di oggi chiediamo di venire
condotti alla gioia celeste dove stà già il Pastore (Colletta). Questa gioia ci
viene dalla partecipazione ai sacramenti che continuano in noi l’opera della
Redenzione (Offertorio). É così che ci conduce alle acque (Ap 7,17). Salvati da
Gesù, abbiamo acquistato, per Lui, una dimora nel Cielo (dopo-Comunione). Egli
stesso disse che sarebbe andato a preparare un luogo (Gv 14,2). Egli è il
Pastore che ci conduce. Tra il Pastore e la pecora c’è una relazione di
conoscenza per la quale la pecora lo segue: “Io conosco le mie pecore ed esse
mi seguono”. Questa conoscenza è la stessa per la quale Lui conosce il Padre ed
è da Lui conosciuto. Per questo Gesù dice: il Padre ed Io siamo uno (Gv 10,30).
Il tempo di Pasqua ci insegna la divinità di Gesù, perciò insiste sulle parole:
Io Sono. Questo è il Nome e l’Essere di Dio. Il Pastore si pone nella
condizione di uguaglianza con il Padre. È questa conoscenza che dà alle pecore la
sicurezza nel seguirLo. Sono protette e nessuno le ruberà dalle sue mani.
Leggiamo nell’Apocalisse che Egli ci riparerà nella sua tenda. (Ap 7,15).
Egli dona loro la
vita eterna
Ascoltare e seguire il
Pastore è avere la salvezza. Gesù è pastore unito al Padre che è il Pastore e
Re del suo popolo. La conoscenza che Gesù ha delle sue pecore ed esse di Lui,
non è un sapere delle cose su di Lui, ma
è una esperienza di vita. Esse formano una comunità che ascolta il pastore.
L’esperienza si ha quando si ascolta la voce del pastore. Coloro che Lo seguono
si uniranno all’immensa moltitudine di coloro che lavarono le loro vesti nel
sangue dell’Agnello (Ap 7,13). Anche in mezzo alle persecuzione, avranno le
loro lacrime asciugate (Ap 7,17). Conoscere il Pastore è una esperienza di
unione totale di vita, è avere i suoi stessi sentimenti, le sue capacità, è
assumere la croce come Lui la prese. La conoscenza attraverso l’amore insegnerà
la Verità del
pastore. Egli è la base della missione di ogni apostolo come vediamo in Paolo e
Barnaba.
Chiamati a essere
pastori
Nella prospettiva vocazionale
corriamo il rischio di restare alla periferia, come riti, vestiti, promozioni, tradizioni
e costumi. La vera vocazione si dà , invece, nell’intima unione con il Pastore,
alle sue sofferenze, come avvenne per i suoi apostoli. La tentazione del mondo dell’avidità,
dell’orgoglio, dell’esteriorità e della ricchezza, non si adatta a Gesù. La
pietà esteriore anche non serve. È necessario lavare le vesti nel sangue
dell’Agnello, questo è avere adesione totale a Lui. Si così, possiamo condurre con Lui il popolo che
gli è fedele. La vocazione ha una dimensione universale, come universale è la
missione di Gesù. Come Paolo lascia il giudaismo e si apre al mondo pagano,
siamo chiamati ad aprirci al nuovo che ci è dato in questa vocazione. La
missione di ogni cristiano, in modo particolare dei pastori, è che il gregge
possa attingere, a partire dalla sua debolezza, la fortezza del Pastore
(Colletta)
Letture: Atti 13, 14.43-52;
S. 99; Ap.7,9.14b-17;
Gv 10, 27-30