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Domenica delle Palme - 17.4.2011
 
 
 

Cristo è Re: nell’entrata a Gerusalemme, sulla Croce e nella Risurrezione

nº 1014
Omelia per la Domenica delle Palme
17.4.2011
p. Luiz Carlos de Oliveira
Redentorista

 

 “Benedetto colui che viene!”

Una festa per il nostro Dio

 Nella Chiesa la liturgia della Settimana Santa è influenzata  dalla liturgia di Gerusalemme del IV secolo; che è considerata madre e maestra. Vi è presente una caratteristica geografica. Celebra le feste connesse ai luoghi dove i fatti si sono verificati. Cerca di riprodurli nei gesti e nelle parole. In questo modo si celebra la memoria del Signore, rendendo presente il suo mistero e la forza della sua redenzione. La Processione delle Palme è fatta da Betfage a Gerusalemme. Ancora si può partecipare ad essa. E’ magnifica, soprattutto per la fede e l’entusiasmo dimostrato dai cristiani di origine palestinese, che cantano in latino e arabo: “Lauda Sion” (Jerusalem) al tuo Salvatore. La liturgia di oggi ha due momenti: la processione festiva e la messa orientata già verso la Passione. Questo doppio momento vuole significare la gloria della Risurrezione alla quale Gesù è giunto per la sua Passione. La processione ci porta la figura del re pacifico che viene montando un puledrino, come hanno fatto David e Salomone (1 Re 1,38), diversamente dalla moda usuale dei re. Il re glorioso  d’Israele era Dio e non l’uomo che governava. Gesù entra con umiltà e mansuetudine. Per questo conquista il favore del popolo. I rami sono simbolo di questa accoglienza rituale. Egli viene per portare la pace. Il grido di Osanna  riguarda la divinità. La città, nei suoi capi, invece  lo rifiuta. La liturgia in questa prima parte della celebrazione ci insegna che il cristianesimo è festoso, allegro e felice. E’ una fede per grandi masse. Non possiamo trovare soddisfazione con una vita di fede entro quattro mura, in un culto chiuso. Essa deve portare alle moltitudini la gioia di appartenere al Cristo e al suo Regno. Il nostro popolo vibra di gioia nel football, per il carnevale, nelle feste della sua quotidianità. Possiamo ricordare la visita del Papa. Il popolo sa cantare, muoversi. Perché ingessare la fede in una liturgia distante da esso? Il popolo ama Dio e Dio ama il popolo. Gesù ha detto ai capi che chiedevano ai bambini di tacere: “Se tacessero griderebbero le pietre” (Lc 19,40). Abbiamo bisogno di una fede meno pia e più cristiana, che sappia coinvolgersi con la vita, l’allegria di un popolo che pur nella sofferenza sa essere allegro.

 

Il Servo sofferente

La liturgia  poi continua nella Messa, nella quale si entra nel clima serio della Passione, serio non triste, perché Gesù è vivo. Il profeta Isaia ci dà una visione della sofferenza di Cristo, in una profezia misteriosa. Uno scelto da Dio, il Servo sofferente, passa attraverso la sofferenza, ma non si sente distrutto. In lui, Paolo, nella lettera ai Filippesi (2, 6-11), ci offre la visione dell’umiliazione del Cristo  che è il mezzo che Lo condurrà alla glorificazione. Questo sacrificio di Cristo, l’umiliazione, ci porta il dono della vita nuova (prefazio). Le sofferenze di Cristo non sono un fine in se, ma un cammino per la gloria.

 

Le pietre grideranno

Non possiamo tacere la nostra fede in Cristo, anche nel dolore, poiché è lì che viviamo il fondamento dell’unione a lui. Essendo Dio: svuotò se stesso a ha assunto la forma di servo… fino alla more di croce (Fil. 5.11). Uniti alle sue sofferenze partecipiamo della sua vita e della redenzione che ci ha portato. Apprendiamo a vivere questo mistero, ascoltando la Parola, con “orecchie aperte”, assimilandola affinchè diventi vita. Se non si verifica questa unione con Lui,  non saremo testimoni. In questo modo, Dio radunerà le pietre che allora glorificheranno il suo nome. Partecipare alla messa è unirsi al Cristo che si offre al Padre per il mondo (p. Gregorio Lutz).

 

Letture : Processione: Mt. 21, 1-11;

              Messa: Is. 50, 4-7; S. 21; Fil. 2, 6-11; Mt 27, 11-54

 
 
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