Viveva l’alfabeto libero, casto, lieto nel cuor della natura. Persino l’S impura era senza peccato; dal mar al colle, al prato, rotolavan festanti, vocali e consonanti. L’M inseguiva l’L, con le tre gambe snelle, e l’O ch’era grassotto, senz’essere di Giotto, burlava tutto il dì, la magrezza dell’I Le lettere parlavano coi fiori e cogli uccelli e per gioco imparavano il canto dei ruscelli. L’R ruvida e strana se la godeva un mondo ad imitar la rana. “Gra-gra” s’udiva in fondo al fosso, e dalle rose rispondeva un “ci-ci”. Non era il colibrì, eran due C  festose che ingannavano il coro misterioso dei grilli e i convegni tranquilli delle farfalle d’oro. L’alfabeto viveva di letizie leggere, forse nulla sapeva ma sapeva godere. |  Un april, sul finire del giorno, ecco apparire l’uomo, quel galantuomo dell’uomo primordiale. Ancora non parlava, gesticolava solo, ma più d’ogni animale, compreso l’usignolo, possedeva il segreto canoro e musicale d’incantar l’alfabeto. Il povero alfabeto ci cadde ingenuamente e in un meriggio ardente, dall’A fino alla Z, vocali e consonanti s’accordaron festanti all’uomo analfabeta, che pareva dicesse con misteriori segni: seguitemi nei regni delle belle promesse! Fu così che le lettere dall’anima soave senza troppo riflettere divennero le schiave dell’uomo, che le cinse di ceppi e le costrinse a dire tante cose ipocrite e noiose… (Luciano Folgore) |