Racconto | Alle origini della scrittura: La Prima lettera | In questa scherzosa novella di Rudyard Kipling, è narrato in modo un po’ fantasioso come l’umanità si può essere avviata verso la scoperta della scrittura: ma di una scrittura che era ancora quasi un disegno (scrittura ideografica), di molto anteriore alla scrittura fonica (alfabeto). (per l’edizione cfr. fonti_ dopo iscrizione) ♣ | La fiocina rotta C’era una volta, in un tempo remotissimo, un uomo neolitico. Era un Primitivo che viveva in una Caverna e indossava assai poche vesti. Non sapeva né leggere né scrivere e non ne sentiva bisogno. Era sempre contento tranne quando aveva fame. Il suo nome era Tegumai Bopsulai, che vuol dire “uomo-che-non-mette-il-piede-innanzi-senza-perché”; ma noi lo chiameremo semplicemente Tegumai. La moglie si chiamava Teshumai Tevindrov, , che vuol dire “donna-che-fa-molte-questioni”; ma noi la chiameremo semplicemente Teshumai. E il nome della bambina era Taffimai Metallumai, che vuol dire “piccina-senza-garbo-che-bisogna-picchiare”. Ma noi la chiameremo Taffì. Era la beniamina di Tegumai e la beniamina particolare della mamma: e non la picchiavano la metà di quanto avrebbero dovuto, e tutti e tre vivevano felici. Non appena fu in grado di camminare, Taffì cominciò a seguire il babbo Tegumai da per tutto. Talvolta non facevano ritorno alla Caverna, finché la fame non ve li spingeva, e allora Teshumai li sgridava: “Dove diavolo siete stati, per insudiciarvi così?” Sì, sì, caro Tegumai, non sei molto di più della mia Taffì” un giorno Tegumai scese lungo gli stagni dei castori fino al fiume Vagai a pescare le carpe per il pasto. Taffì l’accompagnava. La fiocina di Tegumai era di legno e all’estremità portava dei denti di pescecane. Prima ancora di prendere il pesce, Tegumai la ruppe per caso, lanciandola sul fondo del fiume con troppa violenza. Erano miglia e miglia lontani da casa , avevano naturalmente il loro pranzo in un piccolo paniere, e Tegumai aveva dimenticato di prendere con sé una fiocina di ricambio. “Ecco una bella pesca!, fece Tegumai, “Mi ci vorrà mezza giornata per riparare la fiocina.” “In casa c’è la tua lunga fiocina nera – disse Taffì – lasciami correre alla Caverna per chiederla alla mamma” “E’ troppo lontana per le tue piccole gambe grassocce – rispose Tegumai – Inoltre tu potresti cadere nello stagno dei castori ed affogarti. Dobbiamo far buon viso e cattivo giuoco”. Sedette, estrasse una piccola borsa di pelle, piena di nervi di renna, di strisce di cuoio e di panini di cera d’api e di resina, e cominciò a riparare la fiocina. Anche Taffì sedette; le punte dei piedi guazzavano nell’acqua. Col mento nella mano cominciò a riflettere. E dopo un po’: “Babbo, io dico che è seccante che né tu né io sappiamo scrivere, non ti pare? Se uno di noi lo sapesse, scriveremmo una lettera per chiedere una fiocina…”
| La lettera In quel momento uno Straniero giungeva lungo il fiume. Egli apparteneva ad una tribù lontana e non comprendeva una parola della lingua di Tegumai. Si fermò sulla riva sorridendo a Taffì, perché anche lui aveva una piccola bimba nella sua grotta. Tegumai cavò dalla borsa di pelle una matassa di nervi di renna e cominciò a riparare la fiocina. “Vieni qui – disse Taffì – Sai dove abita la mamma? E lo Straniero rispose: “Uhm!” – perché era un Tewara. “Grullo!” – fece Taffì, e batté il piede, perché vide un gruppo di grosse carpe che risalivano la corrente, proprio mentre il babbo non poteva usare la fiocina. “Non seccare la gente grande – disse Tegumai, sempre affaccendato a riparare la fiocina senza voltarsi nemmeno. “Non sono io – rispose Taffì – Voglio soltanto che faccia quello che gli dico, e lui non vuole capire” “Allora non seccarmi” – fece Tegumai; e tirava e stringeva i nervi di renna con la bocca piena di cordicelle sciolte. Lo Straniero – era un Tewara autentico – sedette sull’erba e Taffì gl’indicò col dito quello che faceva il babbo. Lo Straniero pensò: “Ecco una bimba sorprendente. Essa batte il piede e fa versacci. Dev’essere la figlia del nobile Capo, ch’è così grande che non mi fa nemmeno attenzione”. E sorrise più garbatamente che mai. “Ora – disse Taffì – io voglio che tu vada dalla mia mamma, tu che hai le gambe più lunghe di me e non cadi negli stagni dei castori, e le chieda l’altra fiocina del babbo, quella dal manico nero che sta sopra il focolare. Lo Straniero, che era un Tewara, pensò : “ E’ una bambina davvero sorprendente. Essa agita le braccia e grida forte, ma io non comprendo una parola. Ma se io non faccio ciò che mi chiede, io temo assai che questo Capo arrogante, l’Uomo-che-volta-il-dorso-ai-visitatori, abbia a montare in collera”. Lo Straniero, levatosi, strappò un ampio strato di scorza di betulla e lo diede a Taffì. Fece questo per dimostrare che il suo cuore era bianco come la scorza di betulla e non aveva intenzione di far male; ma Taffì non comprese affatto. “Oh! – disse la bimba – Adesso vedo! Vuoi l’indirizzo della casa della mia mamma? Certo io non so scrivere, ma io potrei farti un disegno, se avessi qualche cosa d’appuntito per grattare nel legno. Ti prego, prestami quel dente di pescecane che hai nella collana. Lo Straniero, che era un Tewara, non disse nulla, così Taffì sporse la sua piccola mano e gli tolse la sua bella collana di pietruzze, di grani e di denti di pescecani che portava alla gola. Lo Straniero, che era un Tewara, pensò: “Ecco una bimba davvero, davvero sorprendente. Il dente di pescecane della collana è incantato, ed io ho sempre sentito dire che se qualcuno lo tocca senza mio permesso, quello gonfia immediatamente e scoppia. Ma questa bimba non gonfia né scoppia. E questo Capo importante, l’Uomo-che-bada-soltanto-alle-sue-faccende, che non s’è curato nemmeno di me, non mi sembra punto in timore ch’ella sia per gonfiare o scoppiare. Io debbo essere ancora più compiacente”. E così egli consegnò a Taffì il dente di pescecane ed essa si sdraiò prona sul ventre con le gambe in aria, come qualcuno ch’io conosco quando abbozza disegni sul pavimento del salotto, e disse: “Adesso voglio farti dei bellissimi disegni. Io ti permetto di osservare dietro le mie spalle, ma non di ridere. Prima farò il babbo che pesca. Non gli somiglia molto, ma la mamma capirà, perché vi ho messo la fiocina spezzata. Adesso disegnerò l’altra fiocina che vuole il babbo, quella dal manico nero. Sembra che punga il babbo nella schiena, ma è perché il dente di pescecane è scivolato e la scorza non è larga abbastanza per il disegno. Questa è la fiocina che tu devi portare; adesso farò il mio ritratto, mentre ti do gli ordini. I capelli non mi stanno così dritti come li ho disegnati, ma è più facile disegnarli così. Ora farò il tuo ritratto. Tu sei davvero molto gentile, ma io non ti posso far bello nella pittura, perciò non devi avertene a male. Te n’hai a male?. Lo Straniero, che era un Tewara, sorrise e pensò: “Una gran battaglia si sta impegnando da qualche parte, e questa bimba prodigiosa che prende il mio dente magico di pescecane e non gonfia né scoppia, mi comanda di chiamare tutta la tribù in soccorso del Gran Capo. Egli è senza dubbio un Gran Capo o altrimenti mi avrebbe rivolto uno sguardo” “Guarda – fece Taffì, disegnando con difficoltà e scalfendo orribilmente la scorza – ora ho fatto il tuo ritratto e ti ho messo in mano la fiocina, di cui il babbo ha bisogno, perché ti ricordi che devi portarla. Ora t’insegnerò il modo di trovare l’abitazione della mamma. Si va sempre dritti, finché s’incontrano due alberi (questi sono alberi), quindi si sale un monticello (questo è il monticello), poi si arriva ad uno stagno pieno di castori. Io non ci ho messo tutti i castori, perché non so disegnare castori, ma ci ho fatto le teste ché del resto non si può vedere altro costeggiando gli stagni. Bada bene di non cadere nell’acqua! La nostra Caverna è proprio dietro lo stagno dei castori. La Caverna vera non è alta come sono alte le colline, ma io non posso disegnare le cose molto piccole. Davanti alla caverna c’è la mamma. E’ bella. Essa è la mamma più bella di quante ce ne siano mai state, ma non se n’avrà a male, quando si vedrà figurata sì brutta. Sarà contenta di me, perché so disegnare. Ora perché non ti dimentichi, ho disegnato la fiocina che adopera il babbo, fuori della caverna. Ma essa è di dentro. Tu mostrerai questa pittura alla mamma e lei ti darà la fiocina. La mamma l’ho fatta con le braccia alzate, perché sarà contenta di vederti. Non è forse una bella pittura? E adesso hai capito o devo spiegartela ancora?. Lo Straniero, che era un Tewara, guardò la pittura e fece un gran cenno con la testa. E disse tra se: “Se io non chiamo tutta la tribù in soccorso di questo Gran Capo, egli sarà ucciso dai suoi nemici, che sopravvengono con le lance da tutte le parti. Ora capisco perché il gran Capo fingeva di non vedermi! Egli temeva che i suoi nemici fossero nascosti nella macchia e lo vedessero consegnarmi il messaggio. Corro dalla sua tribù a chiedere soccorso per lui”. Non chiese a Taffì nemmeno la via, e come il vento, si scagliò nella macchia con la scorza di betulla in mano. Taffì sedette sull’erba più che mai soddisfatta. “Che cosa facevi taffì – chiese Tegumai . Aveva riparato la fiocina e la palleggiava con cura per farne esperimento. “E’ una piccola idea che m’è venuta, caro babbo – risposte Taffì. – Se non mi fai domande, saprai tutto in brevissimo tempo e sarà una bella sorpresa per te. Tu non sai che sorpresa sarà, babbo caro. Promettimi che rimarrai sorpreso.” “Benissimo – fece Tegumai, e continuò la sua pesca. | Come fu letta la lettera Lo Straniero – lo sapete che era un Tewara ? – partì di gran carriera con l’immagine in mano, corse per parecchie miglia, e solo per caso trovò Teshumai Tevindrov sulla porta della sua Caverna, che conversava con alcune signore neolitiche invitate ad un pranzo primitivo. Taffì somigliava assai a Teshumai, specialmente nella parte superiore del viso e negli occhi, così lo Straniero, un Tewara puro sangue, sorrise galantemente e consegnò a Teshumai la scorza di betulla. Aveva corso di gran lena, era trafelato, aveva le gambe graffiate dai rovi, ma fece di tutto per essere garbato. Non appena Teshumai ebbe vista l’immagine, scoppiò in un urlo da forsennata e si gettò addosso allo Straniero. Le altre donne neolitiche lo gettarono a terra d’un colpo e gli sedettero sopra. Erano in sei; Teshumai gli strappava a pugni i capelli. “Quello che ha fatto lo Straniero è chiaro come il suo naso in mezzo alla faccia. Ha crivellato il mio Tegumai a colpi di lancia e ha spaventato la povera Taffì da farle rizzare i capelli sulla testa. E non è contento, ha la sfacciataggine di portarmi quest’orribile pittura, per farmi vedere com’ha fatto. Guardate! – E mostrò la pittura a tutte le dame neolitiche, che sedevano pazientemente sulla groppa dello Straniero. “Ecco il mio Tegumai con un braccio spezzato, ecco una lancia che gli trafigge la schiena, ecco un uomo sul punto di gettare una lancia; qui c’è un altro uomo che getta una lancia da una Caverna e qui una ressa di gente (erano in realtà i castori di taffì, ma sembravano piuttosto persone) che arriva dietro a Tegumai. Che orrore! – Che orrore! – ripeterono le dame neolitiche e impiastricciarono di fango i capelli dello Straniero (ne fu molto sorpreso) e cominciarono a picchiare da forsennate i tamburi, per radunare tutti i Capi della tribù di Tegumai, con gli stregoni, i guerrieri e gli altri, che decisero, prima di mozzare la testa allo Straniero, di condurlo fino al fiume, perché indicasse dove aveva nascosto la povera Taffì. Dopo un po’, per quanto fosse un Tewara, lo Straniero s’annoiò. Gli avevano incollato i capelli con la mota; lo avevano rotolato in lungo e in largo sulle selci taglienti; si erano sedute sul suo corpo in numero di sei per volta; lo avevano picchiato e malmenato da togliergli il respiro. Per quanto non comprendesse il loro linguaggio, era certissimo che i nomi che gli affibbiavano le signore neolitiche non erano affatto cortesi. Comunque non feve parola, finché tutta la Tribù non fu radunata ed allora li condusse fino alla riva del fiume Vagai, dove trovarono Taffì che intrecciava ghirlande di margherite e Tegumai tutto intento a pescare le piccole carpe con la fiocina riparata. “Bhé, hai fatto presto! – disse Taffì – Ma perché tanta gente? Ecco, babbo, la mia sorpresa. Sei rimasto sorpreso, babbo? “Certo – risposte Tegumai – Ma tutta la mia pesca è finita per oggi. E’ strano, Taffì, ma c’è qui tutta la nostra buona, cara , bella, quieta Tribù…. | La verità vera Ed era proprio così. Prima di tutto procedeva Teshumai Tevindrov con le donne neolitiche, che tenevano stretto lo Straniero, benché fosse un Tewara. Dietro seguivano il Capo, il Vice Capo e i sottocapi, tutti armati fino ai denti, gli ufficiali con la truppa e gli stregoni in coda, tutti armati fino ai denti. Seguiva quindi la massa della tribù, in ordine gerarchico, dai proprietari di quattro caverne (una ogni stagione), di un pascolo di renne e di due pascaie di salmoni, fino ai villici dalle vaste mandibole, che hanno diritto a mezza pelle d’orso, nelle notti invernali, sette passi dal fuoco; fino agli schiavi che ottengono, verso un tributo, i resti d’un osso rosicchiato. V’erano tutti con salti e strilli, sì che spaventarono i pesci per venti miglia. Tegumai li ringraziò con un fluido discorso neolitico. E allora Teshumai Tevindrov balzò in mezzo, abbracciò e strinse Taffì. Ma il Grande Capo della Tribù afferrò Tegumai per le penne che portava sulla fronte e lo squassò con aria severa. “Parla! Parla! Parla! – gridò tutta la tribù di Tegumai “Lasciami il ciuffo ! – urlò Tegumai – Oh, che non si può rimpere una fiocina senza che tutto il paese ci capiti addosso? Siete seccanti. “E dopo tutto voi non avete portato al babbo la fiocina dal manico nero – fece Taffì – Ed è questo il modo di trattare il mio caro Straniero?” Lo picchiavano in due, in tre, in dieci, da fargli spicciare gli occhi fuori dalla testa. Non poteva che spalancare la bocca e indicare Taffì. “Dov’è la gente cattiva che ti ha crivellato a colpi di lancia, caro Tegumai? - Fece Teshumai Tevindrov. “Non c’è stato un cane. L’unica visita di questa mattina è questo povero diavolo che voi volete strozzare. E’ uscita di cervello la Tribù di Tegumai?” “E’ capitato con un’immagine spaventosa – disse il Capo supremo – un’immagine che ti raffigurava irto di lance.”. “Uhm! Forse farei meglio a dire che sono stata io a dargli la pittura – disse Taffì, ma non si sentiva troppo sicura. “Tu? – fece la Tribù di Tegumai tutta insieme – Tu? Piccina-senza-garbo-che-bisogna-picchiare? “Taffì, piccina mia, ho paura che ci siamo cacciati in un impiccio – disse il babbo e le passò un braccio intorno alla vita, sicchè Taffì non ebbe paura. “Parla! Parla! Parla! – gridò il Capo della Tribù di Tegumai, e saltellò sopra un piede solo. “Volevo che lo Straniero portasse la fiocina al babbo; per questo ho fatto il disegno. Questo non è un mucchio di lance. C’è una fiocina sola. L’ho disegnata tre volte per essere più sicura. Non potevo fare a meno di conficcarla in testa al babbo, non c’era spazio sulla scorza di betulla. E questi, che la mamma dice gente cattiva, sono i miei castori. Li ho disegnati per mostrargli la via lungo gli stagni. Sull’entrara della caverna ci ho fatto la mamma, che guarda contenta, perché quello è uno straniero dabbene e io dico che voi siete la gente più stupida che ci sia al mondo! – disse Taffì. – E’ un uomo dabbene. Perché gli avete riempito i capelli di fango? Lavatelo! Nessuno pronunziò parola per un buon tratto, finché il Gran capo rise; e allora lo Straniero, che era un Tewara, rise; e anche Tegumai rise così forte che cadde prono sull’erba; quindi tutta la Tribù rise, sempre di più, sempre più forte, sempre più sguaiata. Solo Teshumai Tevindrov e le dame neolitiche non risero. Esse furono molto educate coi loro mariti e non diedero loro mai degli sciocchi , sì spesso . E allora il Gran Capo della Tribù di Tegumai disse, gridò e proclamò: “O piccina-senza-garbo-che-bisogna picchiare, tu hai fatto una grande invenzione!” “Io non capisco. Volevo soltanto la fiocina del babbo, quella dal manico nero “ rispose Taffì. “Non importa. E’ una grande invenzione, e un giorno gli uomini la chiameranno scrittura. Per il momento non è che un disegno e, come ci è toccato quest’oggi, i disegni si capiscono male talvolta. Ma verrà un tempo, o figlia di Tegumai, che faremo le lettere in numero d’almeno ventiquattro. Quando saremo in grado di leggere bene e di scrivere, ci diremo tutto ciò che vorremo, senza prendere abbagli. Che le signore neolitiche lavino il fango dalla testa dello Straniero! “Io ne sarò contenta” rispose Taffì “Però dopo tutto, se anche avete portato tutte le lance della Tribù di Tegumai, avete dimenticato la fiocina del babbo dal manico nero”. | * * * Ndr: un po’ di buonumore fa bene al cuore e fa bene alla cultura ! |
| Villaggio del neolitico- di 30.000 anni fa, circa. | Esempio di pitture rupestri italiane tratte dalla “Rupe Magna” di Grosio/Sondrio, in Valtellina, messe in relazione con le limitrofe della Valcamonica. Queste testimonianze mettono in evidenza una cultura veramente interessante in Italia, fin dall’antichità..
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