La compassione unita alla misericordia è uno dei nomi di Dio. Questo
vangelo ci insegna che la nostra missione è di dare vita là dove passiamo. Portare
l’allegria, recuperare i cuori sofferenti, dando speranza.
nº 1238
Omelia della 10^ Dom. T.O.
(09.06.13)
Pe. Luiz Carlos de Oliveira
Redentorista
Dio visita il suo popolo
Condizioni umane nella fede
La liturgia della
Parola di questa domenica parla dell’esperienza
del dolore. Non cerchiamo miracoli, ma alcuni casi ci mostrano che Dio si fa
presente per tutti. Gesù è venuto a portarci un messaggio del Padre: Dio ama
tutti e vuole che tutti stiano bene e si salvino. Dio non vuole il dolore. Ma questo
esiste. “Nella risurrezione del giovane, figlio della vedova, Gesù offre un
segnale della sua disponibilità a liberare l’uomo da tutto quello che lo fa
soffrire e che trasforma l’esistenza umana in un dramma senza uscita” (V.
Pasquetto). Le persone hanno dificoltà a capire la morte, il dolore e le
situazioni di sofferenza della vita. Tutto questo non avrebbe dovuto esistere. La
morte del figlio della vedova la lascia totalmente sola, indifesa, senza
affetto, senza sostegno e senza futuro. Se da una parte c’è una situazione
profondamente umana, dall’altra, c’è anche una salvezza. Gesù si fa difensore
della vedova che soffre. Più che risuscitare il morto, Gesù prova compassione
della vedova. È lo stesso caso della vedova che atiutò il profeta Elia. La sofferenza, poi, non è per pagare i peccati, come dice la
vedova di Zarepta. Le sofferenze possono essere la conseguenza dei nostri peccati,
ma non una punizione. I mali possono provenire dalla fragilità umana. Siamo fatti
così. Se esistono sofferenza e morte, compete a noi elevare queste condizioni umane per renderle un modo
di viverle in Dio. Gesù ha già vinto i mali. Anche noi vinceremo se saremo
capaci di vedere Dio unito a noi nei mali che soffriamo. La fede senza sensibilità,
non può essere chiamata cristiana, poichè Gesù si è commosso davanti al dolore
della vedova. È comune vedere nelle chiese e nei movimenti ecclesiali la
ricerca dei miracoli come se Dio fosse obbligato a farceli, perchè glieli
chiediamo pregando. La ricerca dei miracoli non sempre è ricerca di Dio ma di
se stessi. Gesù cita la Parola di Dio: “non tenterai il Signore tuo Dio” (Dt
6,6-Mt 4,7). Il dolore si vive nella
fede. Il dolore si unisce alle sofferenze del Cristo per la redenzione del mondo
(Cl 1,24).
Evangelizzare con criteri divini
In Gesù, Dio ha visitato
il suo popolo (Lc 7,16). La nostra predicazione sarà sostanziosa quando daremo
testimonianza della nostra compassione per i bisognosi. Compassione non è
pietà, perchè questa non risolve nulla. Ricordiamo la parabola del Buon
Samaritano. Ha sentito compassione, ha soccorso e risolto. La tenerezza non è
fragilità, ma capacità forte di fare come il seno di Dio che freme di
compassione. La compassione è il motivo dell’incarnazione: “Grazie al
misericordioso Cuore del nostro Dio, che ci ha visitati dall’altro come Sole
che sorge” (Lc 1,78). Saremo giudicati sulla nostra capacità di avere
misericordia verso gli affamati, assetati, carcerati, migranti. Sono comportamenti
mossi da Dio, si riferiscono a Gesù, che
è presente in ogni sofferente.
La missione di dare la vita
Il miracolo di Gesù
ci insegna che la Risurrezione non è solo un fatto, ma un modo di vita. Annunciando il vangelo diamo vita alle
persone. Gesù, vedendo la vedova sentì compassione. L’egocentrismo che viviamo
ci insegna che gli altri dovrebbero prendersi cura di noi, compreso Dio, e non
noi degli altri. La compassione unita alla misericordia è uno dei nomi di Dio. Le
nostre celebrazioni sono fredde, talvolta, perchè non coltiviamo il sentimento
della compassione che Gesù ha avuto con noi per salvarci. Il nostro incontro
con le persone deve sempre far ricordare la visita di Dio venuto per asciugare le lacrime da tutti gli
occhi. Gesù vuole continuare la sua missione di misericordia con i sofferenti.
Letture: 1 Re 17,17-24; Sal 29; Gal 1,11-19; Lc
7,11-17