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Venticinquesimo Giorno

 

 

 

 

La Vergine Corredentrice

 

“Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26).

 

Gesù ci chiede per prima cosa, senza dubbio, di rompere ciò che vi sarebbe di illegittimo nell’amore fra parenti: e questo può andare più lontano di quanto comunemente si creda. Ora, i santi hanno occhi per scoprire l’imperfezione: per questo hanno ascoltato tali parole con una docilità che ci spaventa:

E’ stato spiegato che le prescrizioni del vangelo e l’esempio dei santi, da prendere senza la minima edulcorazione, non vertono sulla realtà ontologica dell’amore, così che bisognerebbe distruggere nel proprio cuore i sentimenti della pietà filiale e diventare coriacei e freddi di cuore. Vertono sulla proprietà dei nostri sentimenti di pietà filiale: non dobbiamo riservare per noi alcunché nel nostro cuore. Dobbiamo offrire il nostro cuore a Dio senza riserve. Allora sarà Dio stesso, diventato padrone dei nostri sentimenti più cari, che ci farà amare filialmente i nostri genitori; “Tra l’una e l’altra di queste due morti vi è tutta la distanza dal sovrumano all’inumano” (J.Maritain).


per quanto riguarda la Vergine, Ella aveva, fin dall’inizio, dato a Dio tutti i battiti del suo cuore. Aveva, fin dall’istante stesso dell’Incarnazione, rinunciato senza riserve alla proprietà del suo amore materno. Le lacerazioni sempre più dolorose che Le sono richieste non hanno per fine di purificarla dalle imperfezioni del suo amore: non c’è mai stata ombra di imperfezione in lei. Hanno per solo fine di associarla alla sofferenza redentrice di suo Figlio.

La sofferenza di GesĂą non era destinata a purificare Lui stesso, ma a riscattare il mondo; non era purificatrice per Lui, ma redentrice per il mondo. Nemmeno le sofferenze della Vergine immacolata, a somiglianza delle sofferenze di suo Figlio, erano purificatrici per Lei. Ma la Vergine poteva unirle alle sofferenze che GesĂą sopportava per la salvezza degli uomini. In questo senso erano corredentrici.

 

Insistiamo nello stesso tempo sulla somiglianza e sulla differenza delle sofferenze redentrici in Gesù e in Maria. Si potrebbe far notare, innanzitutto, che le sofferenze di Gesù non potevano assumere la grazia nella sua anima, mentre le sofferenze della Vergine Le meritavano l’elevazione progressiva del suo amore. Ma precisiamo, soprattutto, che le sofferenze di Gesù e quelle di Maria non sono redentrici allo stesso titolo.

Le sofferenze di Gesù erano le sofferenze di Colui che Dio aveva costituito capo unico di tutta l’umanità. Erano, per questo, sofferenze redentrici primariamente e per sé stesse. Inoltre, in ragione della dignità infinita della persona di Gesù, avevano un valore infinito; erano redentrici in tutto rigore di giustizia e costituivano una compensazione sovrabbondante per i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi.

Le sofferenze della Vergine hanno evidentemente un valore finito. In  più, la loro virtù redentrice deriva interamente dalle sofferenze di Gesù. Non sono redentrici se non secondariamente e per partecipazione. Gesù infatti ha tanto amato la Madonna, l’ha resa talmente simile a Lui, da voler comunicare alle sofferenze materne di Lei qualche cosa della dignità delle proprie sofferenze: ha voluto che fossero mescolate alle sue e contate insieme con le sue per compensare l’iniquità di tutti gli uomini. Dio agisce in maniera simile, benché in grado minore, nei riguardi dei grandi santi, ai quali domanda di soffrire per i peccati altrui: san Paolo si diceva pieno di gioia in mezzo alle sofferenze che sopportava per i Colossesi, e completava così nella propria carne, secondo le sue misteriose parole, “quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). La Compassione della Vergine si unisce così alla Passione del Cristo per riparare i peccati del mondo intero

 

Non è tutto.

La Compassione della Vergine si unisce alla Passione del Cristo per meritare la salvezza del mondo intero.

 

Ricordiamo che cosa è il merito.

Quando l’uomo, agendo liberamente sotto la mozione divina, raggiunge lo scopo al quale Dio, per pura bontà, l’aveva ordinato, si dice che c’è merito. Quindi , se si guarda alla mozione divina che proporziona l’uomo allo scopo, il merito è chiamato merito di condignità; e se si guarda al consenso del libero arbitrio mosso dalla grazia, si giudicherà conveniente che Dio accordi i suoi favori all’uomo che accetta la mozione divina: ecco il merito di convenienza, fondato sulla liberalità e sull’amicizia. Di conseguenza, quando un uomo sotto la mozione della grazia soffre per la giustizia , diventa degno di raggiungere la salvezza eterna, e se si guarda al consenso del libero arbitrio, è conveniente che Dio, per una condiscendenza dell’amicizia, acconsenta inoltre ai suoi giusti desideri, per esempio alla conversione di esseri amati, se tuttavia questi ultimi non oppongono resistenza alla grazia divina.

 

Diciamo similmente che quando la Vergine Maria, sotto l’impulso dell’amore, soffriva accanto a Cristo, diventa – se si guarda all’impulso venuto dal Cielo – degna di raggiungere Ella stessa la salvezza del Cielo e, se si guarda al consenso del suo libero arbitrio, era inoltre conveniente che Dio, per liberalità, acconsentisse al suo più profondo desiderio, che era il desiderio stesso di suo Figlio, cioè la salvezza del mondo. La Vergine meritava dunque, ad un tempo, de condigno la sua propria salvezza e de congruo la salvezza del mondo. E’ giusto che abbia operato per meritarci in questo senso la grazia della Redenzione.

Cristo però ha meritato per noi in maniera ben superiore. Era costituito capo del grande corpo che forma il genere umano. Tutto ciò che faceva sotto l’impulso permanente dell’amore lo rendeva degno di ottenere, come giustizia, la salvezza per tutti quelli che sono chiamati a diventare membra del suo corpo, cioè per tutti gli uomini. Ci ha dunque meritato la vita eterna non semplicemente in virtù di un merito di convenienza, ma in virtù di un merito di condignità: basterà, perché questo merito ci sia applicato, che noi non resistiamo alla grazia che Dio ci manda in vista di incorporarci al Cristo. Il solo Cristo ci ha così meritato de condigno la grazia redentrice.

Si comprende quindi in quale senso il nome di Redentore conviene a GesĂą, e quello di Corredentrice a Maria.

 

Questo bel titolo di Corredentrice e quello di mediatrice di tutte le grazie che ne consegue, Le sono stati dati dai Pontefici. Il 2 febbraio 1904, Pio X scrive, nell’enciclica Ad diem: “In virtù della comunione di dolori e di volontà che la univa a Cristo, Maria ha meritato di diventare la degnissima Riparatrice del mondo perduto, e di conseguenza la Dispensatrice di tutte le grazie che Gesù ci ha acquistato con la sua morte cruenta… Poiché supera tutte le altre creature per la sua santità e per la sua unione al Cristo, e poiché è stata invitata dal Cristo a partecipare all’opera della nostra salvezza, essa ci merita de congrui (per convenienza), come si dice, ciò che il Cristo ci ha meritato de condigno (come giustizia), ed è la prima amministratrice nella dispensazione delle grazie".

 

Ugualmente si esprime Benedetto XV in data 22 marzo 1918: “Quando suo Figlio soffriva e moriva, Ella ha sofferto ed è morta, per così dire, con Lui, rinunciando, per salvare gli uomini e placare la giustizia di Dio, ai diritti materni che aveva su suo Figlio e immolando suo Figlio per quanto era in Lei; in maniera che si può ben dire che Ella ha, insieme con Cristo, riscattato il genere umano”.

E Pio XI, in data 2 febbraio 1923: “La Vergine dei dolori ha partecipato con il Cristo all’opera della Redenzione”.

La qualifica stessa di “corredentrice” compare in due decreti del Sant’Uffizio, datati 26 giugno 1912 e 22 gennaio 1912 (D.S  1928 n. 3034 nota 4).

Il consenso che la Vergine dette al mistero della Croce era già contenuto nel fiat all’Angelo. Parlando di questa liberissima accettazione, Leone XIII riprende il grandioso insegnamento di San Tommaso d’Aquino, secondo il quale, al momento dell’Annunciazione, Dio aspettava dalla Vergine il consenso dell’umanità intera, (S.Th, III, q. 30, a.1), e aggiunge che, di conseguenza, nulla di quell’immenso tesoro di grazia e di verità che il Signore ci ha portato ci è comunicato se non per Maria. Egli la chiama “nostra Mediatrice presso il Mediatore”

Come si vede, il mistero della Redenzione è nella Chiesa come un grande albero dottrinale che continua a fiorire.

 

(in Charles Journet, Maria corredentrice, Ares, Mi-1989 p. 65 ss.)

 

 

 
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